=JOBS ACT, LAVORO SENZA DIRITTI E SENZA DIFESE= Stampa
Scritto da Redazione   
Domenica 30 Marzo 2014 19:36


lavoro2l’Europa non sta a guardare e coordina e solidifica interessi preminenti anche sottraendo ai Paesi a sovranità nazionale le tradizioni politiche e i documenti storici d’identità. L’Italia è in prima fila con la cessione della Costituzione e la fiammata di follia collettiva del cambiamento a tutti i costi, soprattutto in peggio


di Pippo De Liso

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Il neopresidente del Consiglio italiano, Matteo Renzi, il terzo nell’era dell’esproprio delle dinamiche parlamentari, sempre in corsa e sempre in affanno, per la ragione che la mastodontica, paludata e burocratica politica europea, di cui lui è vicario ed emissario, nulla può contro il rapidissimo avvicendamento degli interessi dei poteri economici, Renzi, dunque, si è affrettato a ‘varare’ il Jobs Act. Entrare nel merito del provvedimento significa fare i conti, ancora una volta, con l’iniqua consuetudine di licenziare senza causa, di ricorrere ad una flessibilizzazione estrema, di ridurre il costo del lavoro etc.

Più interessante è invece analizzare il comportamento tenuto dalle confederazioni sindacali nazionali di fronte all’annuncio di Renzi che i provvedimenti sul lavoro d’ora in avanti saranno presi dal governo, che i tavoli di concertazione fra controparti (Confindustria, parti sociali, istituzioni) sono un retaggio del passato di cui sbarazzarsi subito, che consigli e suggerimenti sono ben accetti solo se non mettono a repentaglio gli step politici da raggiungere su mandato dell’agenda europea. Renzi ha già incassato il benestare dell’Europa dietro l’impegno di rispettare le percentuali di stabilità per non cadere nel rischio default (rapporto deficit/Pil sotto il 3%). Per edulcorare la pillola, Renzi ha promesso 80 Euro (ma bisogna trovare le coperture finanziarie!) sulla busta paga di maggio dei lavoratori. Se passa come modello questa erogazione a pioggia e dall’alto di ‘panem et circenses’, si mette una pietra tombale su fasce sociali che caratterizzano la storia del Paese.

Come hanno reagito dunque i sindacati a questo colpo di mano del presidente del Consiglio? Il copione è stato recitato più e più volte. Stavolta la novità è rappresentata dal fattocamusso lavoro che il tempo di fare la voce grossa è durato un istante, che il ruolo del convitato antipatico intorno ad un tavolo precipitosamente sgombrato è stato assegnato d’ufficio alla Susanna Camusso di Cgil, la quale, con sprazzi di ottimismo e pessimismo che può elaborare solo lei, si è detta convinta che “il decreto sul lavoro andrà in Parlamento e proveremo a cambiarlo come si fa nelle normali attività sindacali e nella dialettica tra le parti”. In quanto a Raffaele Bonanni, leader della Cisl, nemico inspiegabilmente storico e anacronistico del “furore ideologico” della Cgil come Berlusconi dei comunisti rossi, ha dichiarato che la prospettiva di congelamento della concertazione non è un problema e, se pur lo fosse, “ce ne faremmo una ragione”. A margine del convegno della Confcommercio a Cernobbio, ha agitato nuovamente il cavallo di battaglia della pressione fiscale e poi ha vellicato le lobbies (o dobbiamo chiamarle ormai royalties?) della pubblica amministrazione e dei pensionati italiani. Infine, sulle misure dei contratti di lavoro a termine, che prevedono la possibilità di applicarli senza causale con un massimo di otto proroghe in tre anni, fino al 20% del personale dipendente, Bonanni, forte di una disoccupazione che sfiora tra i giovani il 40%, ha candidamente dichiarato: “meglio un contratto a termine ben pagato che la disoccupazione”; insomma, meglio feriti, con un braccio spezzato, e si sa da chi, che morti e sepolti. Di questo stupido slogan c’è anche una variante in materia ambientale: meglio una somministrazione infinitesimale di arsenico ogni giorno che la fine di tutto.

Prossimo appuntamento sul lavoro, a parte le manfrine in Parlamento sul Jobs Act, a luglio, quando i leader europei parleranno sulla disoccupazione giovanile: un’altra mascherata di personaggi in cerca d’autore.

Insomma, nel clamarchionnessico feuilleton all’italiana, dove i politici e gli affaristi di casa nostra si abbracciano incestuosamente in maniera prolungata, le confederazioni sindacali non rappresentano e non vogliono rappresentare i lavoratori, ma soltanto se stesse, nella feroce illusione che la realtà più vera sia quella partorita dalle loro menti e non quella che si squaderna sotto gli occhi. Intanto, l’Europa non sta a guardare e coordina e solidifica interessi preminenti anche sottraendo ai Paesi a sovranità nazionale le tradizioni politiche e i documenti storici d’identità. L’Italia è in prima fila con la cessione della Costituzione e la fiammata di follia collettiva del cambiamento a tutti i costi, soprattutto in peggio. Altrove, in Europa, le cose non vanno meglio, anzi si assiste a veri paradossi. Per esempio, il serbatoio degli operai e salariati dell’Ucraina (superficie in kmq doppia rispetto all’Italia) sogna le condizioni di lavoro che si trovano in Polonia, Ungheria, Romania, tutti Paesi che rappresentano proprio il retroterra di delocalizzazione della nuova ristrutturazione industriale nel resto dell’Europa.

In quanto a quest’ultima, è vero che il colpo di mano attuato dall’amministratore delegato della Fiat, Sergio Marchionne, (abolizione del contratto nazionale del lavoro) fa scuola, ma è pure vero che altre aziende assestano ulteriori colpi micidiali, volti a distruggere gli ultimi precari equilibri.

E’ passato quasi inosservato che la Luxottica, nel 2009, fissò un accordo aziendale, rinnovato e ampliato nel 2013, che concedeva ai lavoratori un “carrello spesa” di 110 Euro in prodotti alimentari, assistenza sanitaria integrativa e altre voci di microcredito, non basato sulla liquidità. Ha alzato la posta l’Electrolux la quale, tuttora, si ripropone di sospendere o rimodulare a suo vantaggio le voci salariali provenienti dalla contrattazione aziendale e di quel che resta della contrattazione nazionale (scatti d’anzianità, premi di risultato, livelli), rivedere l’orario di lavoro, condizionare gli ammortizzatori sociali (con la complicità del governo pagante) all’accettazione di offerte di lavoro ‘indecenti’ e spingere per la decontribuzione degli ammortizzatori medesimi. Quando si parla di drammatizzazione aziendale, finalizzata all’estorsione di vantaggi fiscali e contributivi ai poteri pubblici si dice solo una parte della verità e comunque si tende a minimizzare lo sconvolgimento di tutti gli assetti, politici e industriali, intrecciati fra loro, a danno dei molti.

E’ passato infine inosservato il triste epilogo  del XVII congresso Cgil. Il sindacato più ingombrante d’Italia, dopo i lavori congressuali, così è stato stigmatizzato dal lavorocoordinamento nazionale della mozione “Il sindacato è un’altra cosa”: “La Cgil ha oltre 5.700.000 iscritti e iscritte, ma di questi oltre 1 milione non è stato raggiunto dal congresso. Sottolineiamo la gravità di questo fatto, come se in intere regioni del paese alle elezioni politiche non fossero stati neppure aperti i seggi. La platea formalmente coinvolta è di circa 4.680.000 iscritti, tra questi cioè si è svolto formalmente il congresso.(…). I congressi si sono svolti in molti casi senza permettere alla minoranza di esercitare i suoi diritti, in diversi casi si sono rilevate sopraffazioni e violazioni che sono state denunciate e che le commissioni di garanzia quasi sempre hanno respinto con assurde motivazioni procedurali; a volte, addirittura, senza neanche motivare. Ci sono casi scandalosi che non intendiamo lasciar cadere”. Ci si riferisce, in particolare ai fatti di Milano, nei quali è rimasto coinvolto lo stesso Giorgio Cremaschi, primo firmatario del documento congressuale “Il sindacato è un’altra cosa”. Militanti e dirigenti della Cgil hanno subito una aggressione organizzata di cui risponderanno in primo luogo gli autori, sia di fronte alla magistratura interna che a quella ordinaria. Ed ancora: “Ci sono circa 652.000 voti privi di alcuna giustificazione che, se verrà confermato il rifiuto della maggioranza di procedere a qualsiasi verifica, non possiamo che considerare falsi”. Tutto il percorso sindacale sin qui tracciato ha portato Cremaschi e compagni “a non riconoscere i risultati del voto con la certificazione e a considerare ancora una volta decisiva CGIL crisila lotta per la riforma democratica della Cgil e di tutto il sindacato. È ovvio che alla luce di questa esperienza la consultazione decisa dal direttivo nazionale sul Testo Unico sulla rappresentanza, che ha ancora minori regole di trasparenza e democrazia del congresso, per noi non ha alcuna credibilità e validità”.

Il metodo con cui si è proceduto nel congresso è quello di Vladimir Putin, più volte denunciato come ‘insabbiatore’ eccellente dalla giornalista Anna Politkovskaja, poi eliminata senza troppi passaggi. Trattasi di un sistema di falsificazione del voto che le opposizioni denunciano da sempre in Russia. Dove le opposizioni sono presenti il voto si svolge in modo più o meno regolare. Dove queste sono assenti, i votanti, tutti per Putin naturalmente, aumentano a dismisura e in questo modo si crea una maggioranza numerica garantita; sempre fittizia, ad ogni modo. Ora, siamo sicuri che questo metodo è stato ben applicato dal Direttivo Cgil, visto che è il metodo che ha guidato il percorso dei congressi di base. La meticolosa applicazione di questo metodo ha clamorosamente falsato i risultati del voto che sono assolutamente non veri, come si evince anche dal documento di Cremaschi. Può dunque una minoranza risicatissima di iscritti portare la posizione dominante a prendere tutta una serie di contromisure per annullare ogni opposizione non numericamente rilevante? La realtà però è che questo è avvenuto.

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Ultimo aggiornamento Domenica 30 Marzo 2014 22:00
 
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