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Scritto da Redazione   
Domenica 26 Gennaio 2014 22:01

IL GIORNO DELLA MEMORIA

 

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Dal libro di Nicola Magrone, Codice breve del razzismo fascista, pubblichiamo qui una testimonianza di Elisa Springer, la nota editoriale di Mino Magrone e la premessa di Nicola Magrone.

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Dal libro di Nicola Magrone, Codice breve del razzismo fascista, pubblichiamo qui una testimonianza di Elisa Springer, la nota editoriale di Mino Magrone e la premessa di Nicola Magrone.

[...] si spiega perché appaiono sempre più “fuori gioco e fuori tempo” quanti, oggi, si ostinano a dislocare sentinelle a difesa della nostra Carta costituzionale: della quale - sembra di capire - si pensa che non sia uno strumento capace di impedire l’imprevisto se non il fatale ripiegarsi della società nel desiderio di comandi semplificati. Tanto vale - sembra di capire che si pensi sempre più diffusamente - esorcizzare il pericoloso ripetersi della storia attrezzandoci a “riviverlo” amichevolmente e a “governarlo” per finirne governati. Joseph Roth ha detto questa preoccupazione, che sta tra le ragioni di questo libro, così: “E’ inimmaginabile quante ingiurie in una volta sola può sopportare un essere umano che è già stato oltraggiato”.

 

 Testimonianza

 “Mi sono persa e ritrovata”

 di  Elisa Springer

Di solito, tutte le favole iniziano con “c’era una volta”. La mia, purtroppo, non è una favola; ma inizia ugualmente con “c’era una volta”.

C’era una volta la vita che avrei voluto vivere ma che un uomo di nome Adolf Hitler mi impedí di vivere.

Avrei preferito dimenticare; non ci sono riuscita.

Oggi, la vita mi obbliga a ricordare, a far ricordare.

Io non sono una grande oratrice né una grande scrittrice. Io sono solo una donna di 84 anni che ha provato, che ha subíto, che ha vissuto tutto l’odio dell’uomo e che, malgrado tutto, ama disperatamente il suo prossimo.

Purtroppo, sembra che tutte le nostre sofferenze, tutti i nostri morti non siano serviti proprio a nulla. L’uomo si butta tutto alle spalle, le guerre continuano, i delittielisa e nicola2 continuano, l’intolleranza continua.

A distanza di piú di cinquant’anni dalla Dichiarazione dei diritti umani, la storia non ha ancora reso giustizia alla sofferenza e al sacrificio di milioni di innocenti. Ancora oggi, la testimonianza di aggressioni sociali, la violazione dei diritti fondamentali dell’uomo, gli odi etnici, ci fanno rimeditare sul senso vero di quei diritti pure affermati e propagandati con tanta solennità.

L’insensibilità, che nei lager era figlia della paura, della miseria, dell’abitudine anche, oggi si nasconde nella vacuità dei dibattiti culturali sui diritti dell’uomo.

Questa umanità lacerata vuole, invece, un messaggio di speranza e un progetto fatto di certezze.

 Attenzione, dunque: la solitudine, la diversità mal sopportata, la sopraffazione, la disattenzione sono ancora di casa nella nostra civiltà.

ElisaSpringer12E dunque, è necessario che si superino i pregiudizi: amiamo la vita, la speranza, la pace, la fratellanza, il rispetto, la pietà. Io mi sono misurata con questi valori assoluti pagando il prezzo della mia stessa identità. Dopo essere stata costretta a confrontarmi, a ricercarmi, dopo essermi persa e ritrovata, dopo tanto atten­dere, forse sono riuscita a vedere la mia vita, la mia luce. Ho compreso che la morte stessa non è forse piú importante dei frutti d’amore che essa produce: i frutti della conoscenza, di coscienze avvertite, presenti, impegnate nella costruzione e nella difesa di una società aperta all’amore, alla giustizia, all’ugua­glianza.

 Un giorno, noi tutti - tutti quanti - dovremo affrontare lo stesso ultimo tragitto: a me piacerebbe tanto poterlo fare tenendoci tutti quanti per mano.

 

 

 

 

 

 Nota editoriale

 Questa tempesta

 di Mino Magrone

 L’ironia della vita èche questa viene vissutain avanti, ma è compresaall’indietro.

Soren Kieerkegaard

Pubblicare le leggi razziali italiane del 1938, di quell’infausto e mostruoso periodo della storia del nostro paese, rafforzare la corta memoria di ogni sorta di credenti nelle taumaturgiche capacità del procedere rettilineo del progresso verso approdi di pace e piena democrazia, non può non significare il tentativo di tracciare la storia di un’azione pedagogica, civile e democratica ma anche del suo fallimento.

L’Angelus Novus del quadro di Klee ha la bocca aperta, lo sguardo spaventato; fissa qualcosa da cui è in procinto di fuggire.ANGELUS NOVUS

L’angelo della storia deve avere la stessa angoscia, lo stesso sgomento; dai suoi occhi spalancati sporge l’immagine del mostruoso.

Walter Benjamin cosí se lo immagina: “Ha il viso rivolto al passato e dove appare una catena di eventi egli vede una sola catastrofe che accumula senza tregua rovine su rovine e le rovescia ai suoi piedi. Egli vorrebbe ben trattenersi, destare i morti e ricomporre l’infranto. Ma una tempesta spira dal paradiso…. ed è cosí forte che egli non può chiudere le sue ali. Questa tempesta lo spinge irresistibilmente nel futuro a cui volge le spalle, mentre il cumulo delle rovine sale davanti a lui al cielo. Ciò che chiamiamo il progresso, è questa tempesta”.

Il ricordo e la memoria del mostruoso, l’azione pedagogica non possono non essere coscienti dell’impossibilità della possibilità del loro successo.

Il futuro infatti “è questa tempesta”.

Per molti, chiedersi perché il futuro è questa tempesta può significare motivo di scoraggiamento e, forse, criterio di analisi deprimente.

Si tratta di capire però che guardare in faccia la tempesta in cui inconsapevolmente viviamo significa uscire rafforzati dalla nostra antiquata e, tutto sommato, rasserenante psicologia del divenire; significa disvelare l’essenza piú subdola nascosta nel cosiddetto “dislivello prometeico” tra la nostra povera capacità di immagi­nazione e le reali e smisurate potenzialità di asservimento e di distruzione della tempesta. Insomma, prendere coscienza della grande difficoltà di desituarsi rispetto alla situazione data può consentire non di non essere piú “nichilisti in azione” e, in fondo, tutti inconsapevoli “figli di Eichmann”, ma di sapere che lo siamo e che agiamo non sapendolo.

Sicché, guardiamola in faccia questa nostra realtà presente e senza disdegnare uno sguardo sul prossimo futuro. La guarderemo, per ovvie ragioni di sintesi e di spazio, molto sommariamente, forse anche confusamente, ma con la speranza di pervenire alla conclu­sione di non essere psicologicamente forzati ad esprimere un giudizio troppo presuntuoso sul passato. Infatti, sta proprio nell’evitare di sviscerare la questione tragica e attualissima della responsabilità individuale rispetto a ciò che ha reso possibile il mostruoso che si annida la persuasione e l’illusione che il cosiddetto “problema Eichmann” sia una faccenda di ieri. In effetti esso non appartiene soltanto al passato, riguarda invece il presente ed il futuro ed in ciò sta il pregio di questa iniziativa editoriale.

NAZISMOUn’avvertenza è ineludibile: molte delle notizie strabilianti che appaiono continuamente sulla stampa e in televisione dicono dell’irresistibile progresso della biologia e della biotecnologia. In larga parte si tratta di genetica mercantile: tali notizie servono ad attrarre capitali e finanziamenti e a sostenere e gonfiare bolle speculative borsistiche. Tuttavia, si tratta anche in questo caso di un asservimento mostruoso della opinione pubblica in stile e spirito perversamente hitleriani. E’ sufficiente conoscere l’essen­ziale della storia per capire che lo stile hitleriano ha preceduto lo stesso Hitler, come è dato di sapere, per esempio, per la frenologia in auge all’inizio del secolo XIX o per l’eugenismo poi screditato dai campi di concentramento ed infine riabilitato dalla biologia moderna sotto forma di richiesta e di bisogno, quasi una forzata domanda di mercato, del “bambino perfetto”.

Ma non tutto è mercantile, frammisto al rastrellamento di finan­ziamenti oscuri c’è anche il progetto di controllo sociale che va realizzandosi sotto i nostri occhi.

In La visione molecolare della vita (Oxford University Press, 1993) è riportato il rapporto del consiglio di amministrazione della Rockefeller Foundation che dice: “Possiamo sviluppare una genetica abbastanza valida e approfondita per generare in futuro uomini superiori? Possiamo saperne abbastanza sulla fisiologia e sulla psicologia della sessualità perché l’uomo sia in grado di sottoporre questo aspetto onnipresente, essenziale e pericoloso della vita a un controllo razionale? […] Può l’uomo acquisire una conoscenza sufficiente dei propri processi vitali tale che ci consenta di razionalizzare il comportamento umano?”

Qui, a parte ogni considerazione sul drenaggio di capitali, va detto che nessuno è in grado di ammettere o di escludere che la ricerca biologica e biotecnologica non comprenda la creazione del “bambino perfetto” e del cittadino in azione completamente funzionali ad una sorta di totalitarismo tecnologico e politico. In questo caso non sarebbero piú necessari i campi di concen­tramento; tutto il pianeta, subendo una metamorfosi straordi­naria, ma non per questo impossibile, sarebbe un felice gulag.

Non in meno ma qualche preoccupazione in piú dà la biologia in campo agricolo e nell’allevamento degli animali. In questo caso la libertà di ricerca e di applicazioni tecnologiche è quasi totale trattandosi di viventi “senza anima”. Gli organismi geneticamente modificati e le clonazioni sono fatti della cronaca quoti­diana. E’ il maestoso prologo all’opera completa!

Esiste, tuttavia, la tecnologia di potenza per mettere in scena il finale drammatico dell’opera. La fisica nucleare e delle particellefat man subatomiche ha prodotto, tra l’altro, lo bombe atomiche e le bombe H.

La bomba atomica è stata già usata sul Giappone nel 1945 con effetti disastrosi che ancora oggi patiscono esseri umani non chiusi in campo di concentramento ed ivi mandati a morire ma liberi nelle loro popolose città e attenti ai loro impegni quotidiani. Se pensiamo che dal 1945 ad oggi questa tecnologia di potenza e di morte ha accresciuto enormemente le sue potenzialità distruttive, allora possiamo capire perché con l’avvento dell’era atomica siamo giunti all’ultima era: tutto ciò che avviene nel mondo, anche di sorprendentemente grande, avviene sotto il dominio dell’era atomica e della sua capacità di far cessare la vita. La nostra psicologia pre-atomica deve fare un salto formi­dabile per pecepire che dal vaso di Pandora, ormai infranto, è uscita una mostruosità invisibile che dà la morte a tutti. Di chi è la responsabilità? Di pochi? Di nessuno? Forse è della situazione nella quale lavoriamo, ricerchiamo, studiamo, applichiamo. Forse piú che agire “siamo agiti” da una sorta di determinismo e funzio­na­lismo che accresce sempre di piú il dualismo, la separatezza tra ciò che siamo realmente e, spesso, inconsapevolmente e l’im­magine o l’idea, ormai retorica, della libertà della nostra coscienza morale in esodo verso il luogo iperuranico del suo an­nien­tamento e dell’ esilio; e del rovesciamento e della inversione dei mezzi in fini per cui ciascuno deve fare quel che fa senza conoscere le conca­tenazioni separate e invisibili del fare di ciascun altro. Sicché il risultato finale realizza la volontà di scopo del mezzo dal quale dipendiamo come fonte insostituibile di vita ma anche di morte e rispetto al quale non abbiamo piú fini essendo vincente la volontà di scopo del mezzo.

Nel contesto delle responsabilità, la memoria corre verso la misteriosa scomparsa di Ettore Majorana del quale Enrico Fermi scrisse: “Ma poi ci sono i geni, come Galileo e Newton. Ebbene Ettore Majorana era uno di quelli”.

Si suicidò o scomparve volutamente seguendo l’indicazione perentoria del suo senso di responsabilità individuale?

Forse ora è tempo di smettere di percorrere la nostra gal­leria delle angosce; ci sarebbe molto altro da vedere: il libro che pubblichiamo è un forte e potente invito a pensare il passato che non è come noi avremmo voluto che fosse e a disoccultare le insidie del presente che è molto piú preoccupante di quanto non appaia. Ma ci basta ricordare a questo punto il volto dell’Angelus Novus, il suo fuggire da qualcosa di orrendo e il suo precipitare nel vortice della tempesta del divenire.

Qualcuno, a questo punto, potrebbe avanzare il diritto di fare una domanda: “ma che cosa debbo fare?” Intanto, nei limiti del possibile,320px-Corriere testata 1938 della possibilità cioè della prevedibilità, anche incerta, degli effetti nocivi delle proprie azioni, praticare real­mente il principio di responsabilità individuale; poi, essendo certo che ciò è terribilmente insufficiente e di problematica attuazione, nella tempesta che spira dal paradiso conservare e vivificare la speranza attiva che la potenza dei mezzi e la loro vincente volontà di scopo ci lascino almeno un pallido residuo di diritto a pensare e criticare non tanto che cosa fare quanto che cosa non fare. Ventisette piloti israeliani si sono rifiutati di bombardare i palestinesi: è un esempio grandioso, una potente eccezione, un disordine riordinante. L’hybris, la violenza e la tracotanza, in ogni luogo può subire una sconfitta per quanto piccola.

 

 Le ragioni e le intenzioni

di Nicola Magrone

Questo libro non nasce dall’improvviso impazzimento di un giudice attratto dalla tentazione di farsi storico. Se così fosse, si tratterebbe di un pessimo servizio al mestiere del giudice e a quello dello storico.

leggi razziali la stampaEsso nasce, invece, tutto dentro al sistema culturale e professionale di chi pratica il diritto; non a caso, il tema della ricerca è quello delle “leggi razziali” del fascismo, dell’ordinamento giuridico che le rese possibili e delle ragioni che, a loro volta, quell’ordinamento resero possibile. Cose tanto risapute quanto ignorate.

Ma, ad essere franchi, le ragioni del libro non stanno tutte qui. Stanno anche nell’ormai insopportabile china presa dal dibattito anche scientifico sui regimi totalitari: contabili inflessibili vanno con accanimento investigativo “quantificando” vittime e carnefici, se ne fece più il fascismo dello stalinismo, più Pinochet dei colonnelli greci o di Saddam Hussein o dei mille regimi autoritari che ancora agiscono sui popoli. Le ricerche sono ormai rivolte al peggio perché il meno peggio esca dal confronto al meglio, forse bene. Alla fine della contabilità, una consolazione per tutti, davanti a ciascuno collocandosi sempre e comunque un esempio peggiore: non fummo i peggiori, fummo dunque i migliori.

Le “leggi razziali” del fascismo, in particolare, hanno goduto di un “trattamento” particolarmente benevolo: quello che si dà ad una cosa straordinariamente eccezionale, anomala, imprevedibile, imprevista, e nemmeno voluta. Detto questo, il caso è chiuso. E dunque, non conterebbe nulla tutto il resto, una mostruosità potendoci toccare in sorte sotto tutti i regimi e ad ogni latitudine; un mostro è un mostro. E nemmeno conterebbe nulla l’affanno di chi si ostinasse a collocare sentinelle armate di tutto punto ai confini dell’abitato: la mostruosità non viene da dentro ai confini, viene da fuori, non si sa da dove, non si sa perché; se viene, non si fa annunciare, un fulmine, un tuono, una calamità.

Da questo punto di vista, si spiega perché appaiono sempre più “fuori gioco e fuori tempo” quanti, oggi, si ostinano a dislocarecampi concentramento-2 sentinelle a difesa della nostra Carta costituzionale: della quale - sembra di capire - si pensa che non sia uno strumento capace di impedire l’imprevisto se non il fatale ripiegarsi della società nel desiderio di comandi semplificati. Tanto vale - sembra di capire che si pensi sempre più diffusamente - esorcizzare il pericoloso ripetersi della storia attrezzandoci a “riviverlo” amichevolmente e a “governarlo” per finirne governati. Joseph Roth 1 ha detto questa preoccupazione, che sta tra le ragioni di questo libro, così: “E’ inimmaginabile quante ingiurie in una volta sola può sopportare un essere umano che è già stato oltraggiato”.

Queste - ed altre nemmeno nitidamente percepite se non come bisogno indistinto e a volte confuso di fare qualche conto con quel che fummo e quello che siamo - sono le ragioni che più visibilmente sostengono le intenzioni di questo libro. Tra le quali ultime non c’è, deliberatamente è stata esclusa, quella che viene retoricamente e ad ogni pie’ sospinto evocata con l’abusato monito del “dovere della memoria”: si dice: “per non dimenticare”. Donde, il rituale del rito dovuto, della commemorazione occasionale, della cerimonia evocativa per anniversari. Accade per le calamità naturali, per gli assassini che hanno fatto la storia, per le cose terribili e però consumate, archiviate, vinte.

Quando Helmut Kohl si lasciò andare alla pubblica consolazione della grazia per la nascita tardiva, quella che ci risparmiò la prova estrema del nostro agire al cospetto della tragedia nazista (come a dire, se ci fossimo stati non è detto che non ci saremmo trovati di qua dal forno crematorio a infornare infedeli), lo videro immediatamente in odore di qualunquismo opportunista: e sbagliarono. Perché di qua dal forno ogni giorno ancora ci spingono tentazioni e lusinghe. Toccò di peggio a jenningerPhilipp Jenninger nel suo discorso al Parlamento tedesco il 10 novembre 1988, quando evocò la colpa collettiva del Genocidio2. In una parola, fu fatto dimettere, perché il nazismo è il nazismo, non c’entra il popolo tedesco, noi ancor meno. Figuriamoci il popolo italiano e il fascismo, terzo in buona fede (come diranno poi le “leggi riparatrici” dell’Italia repubblicana) il primo, approssimazione grossolana, sguaiata e sostanzialmente bonaria il secondo (incline a far suo l’insegnamento di Callisto II perché non si facesse del male inutile all’ebreo qui nichel macchinari presumpserit in subversionem fidei christianae, che non facesse insomma l’ebreo o, secoli dopo, l’antifascista). 3

E allora, “per non dimenticare” che cosa esattamente? Un pezzo di storia concluso e senza esiti? Un dato d’archivio?

Naturalmente, una cosa sono le intenzioni del libro, altra il risultato raggiunto: dove quest’ultimo apparirà manifestamenteleggi razziali2 gracile, un suggerimento veramente leale s’impone: si vada alle “leggi” dello Stato autoritario e del razzismo fascista e poi delle “benevoli riparazioni”: un cammino francamente ossessionante, scandito da articoli, commi, paragrafi, decreti, regolamenti, circolari. Nulla fu tralasciato perché si smarrisse - prima - la percezione stessa dell’“oggetto” di tanta “legislazione”: persone; e perché non si disturbasse più di tanto - dopo - un popolo “in buona fede”: noi.

 

1 Joseph Roth, Ebrei erranti, Milano, Adelphi, 2000, pagina 127.

2 Mario Pirani, Il fascino del nazismo, Bologna, il Mulino, 1989.

3 Callisto II, Bolla Sicut Judaeis, 1120.

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Ultimo aggiornamento Mercoledì 29 Gennaio 2014 01:25
 
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