=TI RICORDI DI PIAZZA FONTANA? INCONTRO DI ITALIA GIUSTA= Stampa
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Scritto da Redazione   
Mercoledì 11 Dicembre 2019 11:55

Manifesto Piazza Fontana rivista-122019

12 dicembre 1969

Nel cinquantesimo anniversario
della strage di Piazza Fontana
Italia Giusta
secondo la Costituzione
invita tutti a un incontro
per riflettere e discutere

Le commemorazioni non sempre consolano, piú spesso inquietano. Da piazza Fontana partí, sí, la tenebrosa stagione del terrorismo e delle stragi, ma di lí iniziò anche il lungo e perverso cammino a colpi di piccone sugli assetti costituzionali sulla strada da nessuno veramente contrastata della trasformazione del nostro Stato e della nostra società in un simulacro di democrazia liberale nelle parole, autoritaria e ormai quasi feudale nelle prassi e finanche nelle leggi (Nicola Magrone, Piazza Fontana Memoria e Verità, “La Gazzetta del Mezzogiorno”, 12 dicembre 2009).

12 Dicembre 1969, ore 16.37, una bomba esplode nella Banca Nazionale dell’Agricoltura in piazza Fontana a Milano uccidendo 17 persone epiazza fontana IMG 20191211 084254 ferendone altre 88. Era “la strage di Piazza Fontana”, divenuta negli anni nota come la madre di tutte le stragi. Le edizioni "dall'Interno-Sudcritica", per iniziativa di Nicola Magrone, alla fine degli anni Ottanta dedicarono alla strage e ai processi sino ad allora svolti per Piazza Fontana tre volumi e migliaia di pagine (Ti ricordi di piazza Fontana?).

Dopo processi tenuti per oltre 35 anni in varie città d’Italia, e dopo 50 anni, non abbiamo una sentenza che ci dica chi ha messo la bomba in quella banca, perché tutti gli imputati sono stati assolti in sede giudiziaria.

Ma se questo è vero, è tuttavia vero anche che i nomi dei responsabili, di chi volle la strage, sono “concordemente” noti, persino nelle sedi giudiziarie, ed è assolutamente ben definito il contesto nel quale la strage maturò. Sono tutti dati accertati e messi bene in fila nelle sentenze. La strage fu programmata, insieme con una sequela di altri attentati fatti nel corso del ’69, nell’ambito del gruppo fascista Ordine nuovo, collegato con servizi segreti e apparati dello Stato. E’ scritto in una sentenza della Cassazione del 2005 che i responsabili dell’attentato sono Franco Freda e Giovanni Ventura, capi della cellula padovana di Ordine Nuovo: è un dato ormai noto anche se furono definitivamente assolti per il reato di strage nel 1987. La Corte di Cassazione nel 2005 sottolineava che è emerso dalle decisioni giudiziarie che “a Padova fu costituito, nell'alveo di Ordine Nuovo, un gruppo eversivo capitanato da FREDA e VENTURA e che ad esso vanno attribuiti una serie di fatti delittuosi consumati nel 1969, tra i quali campeggiano gli attentati ai treni dell'agosto” e rilevava che l'approdo dei giudici di primo e secondo grado di uno degli ultimi filoni d'inchiesta sulla strage, “in chiave meramente “storica” e di valutazione incidentale”, è stato quello “in ordine alla responsabilità di FREDA Franco e VENTURA Giovanni per i fatti del 12.12.1969”, pur avvertendo che “tale conclusione [...] oltre a non poter provocare... effetti giuridici di sorta nei confronti di costoro, irrevocabilmente assolti dalla Corte di assise di appello di Bari, è frutto di un giudizio formulato senza poter disporre dell'intero materiale probatorio utilizzato a Catanzaro e Bari”.

Nei gruppi stragisti (Ordine Nuovo al Nord e Avanguardia Nazionale, con Stefano Delle Chiaie, a Roma) c’erano infiltrati dell’Ufficio Affari Riservati; il Sid, il servizio di sicurezza militare, ha coperto i responsabili sottraendo prove e aiutando alcuni indagati, come Guido Giannettini, uomo dei Servizi, a sottrarsi alle indagini.

Scriveva Nicola Magrone, nel 1986, nel primo volume di Ti ricordi di piazza Fontana?: 

 

«Il processo di Piazza Fontana sta con la strage in diretto rapporto di continuità politica e storica; le bombe non esplosero soltanto nella Banca o all’Altare della Patria: schegge non marginali piovvero nella stessa logica e nello stesso disegno degli attentati, sulle carte del processo, nelle stanze di questure e tribunali, nei centri di potere politico ed economico, nelle redazioni dei giornali.»

Consapevoli che a 50 anni da quella strage, quelle vicende e le loro conseguenze possono ancora dare lezione all'oggi, riproponiamo, dunque, la riflessione di Magrone del 2009 e quella fatta nell'88 da Francesca Dendena, figlia di una delle vittime della strage, durante uno degli incontri di presentazione dell'opera Ti ricordi di piazza Fontana?.

 

magrone prima pagina 2009Piazza Fontana - Memoria e verità (2009)

di Nicola Magrone
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Le commemorazioni tendenzialmente portano ad una archiviazione ripetuta. Una foto, un generico commento, e via; alla prossima. Quella per la strage di piazza Fontana, in particolare, può ormai ben definirsi la madre di tutte le celebrazioni: un coro memore (non si sa di che cosa esattamente) commemora, si commuove e commuove. Per un giorno.

Il coro si fa indignato quando denuncia che per quel delitto nessuno ha pagato niente; “nessun colpevole”, si ripete. Cosí annegando nel vacuo “esito” propriamente giudiziario la verità storica della quale si continua a far finta di niente.

In realtà, le cose non stanno cosí. Le numerose sentenze che hanno scandito questi quarant’anni di indagini e di processi, nel loro complesso, hanno subíto esse stesse, esattamente come gli inermi agricoltori della Banca dell’Agricoltura di Milano, la devastazione e il tragico insulto non di una ma di una giannetinifredaserie di bombe.

Che cosa commemoriamo, dunque? La fatalità di quelle morti come si fa per le vittime dei terremoti o di altre sciagure “naturali”? Possiamo concludere che non si è saputo niente?

Mettiamo l’immancabile evocazione della “strategia della tensione”, formula magica che tutto nasconde, efficace ma esposta ad ogni tipo di manipolazione: chi fu lo stratega, non si sa, non si è visto, lo cerchiamo ancora?

A metterla cosí, finisce che sarebbe meglio il silenzio dignitoso e il rispetto vero per le vittime; a metterla cosí, è meglio che non se ne parli piú. Il problema è, però, che è francamente difficile metterla e lasciarla cosí.

Per questi motivi.

La cosiddetta “pista anarchica” fu deliberatamente intrapresa e percorsa per tenere nell’ombra quella “nera”. E perché? Perché il microcosmo dell’eversione di destra era infarcita di connivenze propriamente istituzionali e finanche giudiziarie.

L’unificazione delle due “piste” in un unico processo fu voluta e praticata con cinica determinazione. E perché? Perché essa rappresentava al meglio e agevolmente la parola d’ordine degli “opposti estremismi”, lo schema interpretativo cioè che con piú efficacia metteva al riparo da ogni responsabilità la politica e le istituzioni.

Piazza-Fontana depistaggioL’irrompere nello scenario giudiziario della cosiddetta “pista istituzionale” fu definitivamente e deliberatamente sradicato dal processo per mano soprattutto della Corte di Cassazione. E perché? Perché quella pista (insomma, la “Strage di Stato”, sulla quale la sentenza della Corte di assise di Catanzaro del 23 febbraio 1979 scrisse parole inequivocabili) toglieva alla radice ogni credibilità all’idea che a Milano si fosse trattato di un macabro ”concerto” tra “opposti estremismi”, del tutto estranei ad esso gli apparati dello Stato e la politica (comodo approdo al quale si rassegnarono anche i giudici di Bari del 1985).

Il ruolo di Guido Giannettini, sedicente giornalista, informatore dei servizi segreti, fu scandagliato minutamente dai primi giudici di Catanzaro (l’impegno degli apparati statali e politici a tenere nascosta questa sua attività fu davvero titanico) e progressivamente ridimensionato soprattutto per mano della Cassazione. Perché? Perché Giannettini chiamava direttamente e inesorabilmente in causa i servizi segreti e il governo. I meno giovani ricordano certamente la penosa comparizione di autorevoli esponenti del Governo davanti ai Giudici di Catanzaro sul ruolo, appunto, di Giannettini e l’apoteosi dei “non ricordo” sbiascicati dai ministri.

E cosí via, fino alla ineffabile Inquirente che liberò tutti i ministri imputati di falsa testimonianza e di favoreggiamento, proprio a proposito di Giannettini.piazza-fontana-620x330

Che cosa commemoriamo, dunque? Questi scenari o la morte di innocenti? E sela morte di innocenti, vogliamo ricordare che innocenti non furono Stato e politica? E, a latere, pezzi di magistratura?

E’ bene che ci si sforzi di ricordare soprattutto questo: che da piazza Fontana partí, sí, la tenebrosa stagione del terrorismo e delle stragi ma che di lí iniziò anche il lungo e perverso cammino a colpi di piccone sugli assetti costituzionali sulla strada da nessuno veramente contrastata della trasformazione del nostro Stato e della nostra società in un simulacro di democrazia liberale nelle parole, autoritaria e ormai quasi feudale nelle prassi e finanche nelle leggi.

Le commemorazioni, a volerle fare, non sempre consolano, piú spesso inquietano. Come è giusto che sia, anche in onore dei morti.

 

francesca dendenaQuel giorno nel Duomo con gli operai... (1988)

di Francesca Dendena
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Sono figlia di una delle vittime di piazza Fontana. Ho trascorso questi diciassette anni percorrendo l'Italia da un capo all'altro, ad inseguire istruttorie e processi.

Ci siamo anche costituiti in associazione.

Ma la nostra maturazione politica è avvenuta anche prima quando abbiamo capito che non potevamo tenere il nostro dolore in silenzio ma dovevamo portarlo in piazza. Non ci siamo nemmeno potuti permettere il lusso di piangere i nostri morti perché siamo stati costretti ad andare in piazza, per capire che cosa era successo.

Io avevo 17 anni quando scoppiò la bomba di piazza Fontana. Mio padre ne aveva 45. Da allora, non ho fatto che percorrere la penisola a rincorrere istruttorie, a tentare di capire e di capirci, a stare vicini a giudici come Alessandrini...

E’ un assurdo, questo: in un paese democratico, delle persone, per avere qualcosa che dalla Costituzione gli viene garantito, si debbano costituire in associazione...

Ma la nostra maturazione è avvenuta prima, molto prima, quando abbiamo capito che non dovevamo soffire in silenzio ma dovevamo portare il nostro dolore in piazza. Questa frase sembrerà stupida... però... non potersi permettere nemmeno di piangere i propri morti perché si doveva andare in piazza, a capire che cosa era successo.

La presa di coscienza mia, ma credo anche degli altri, è avvenuta subito: il giorno dei funerali. La strage di piazza Fontana - si diceva - eraFunerali morti piazza fontana quasi la conseguenza logica degli scioperi del '69...

Ma io, quando sono entrata in questo Duomo ampio, enorme, pieno solo di maestranze che ai morti di piazza Fontana avevano sacrificato le loro lotte, ho capito che non potevano essere loro i responsabili di tutto questo ma che la strage era stata fatta proprio per fermare le loro giuste rivendicazioni.

Ho capito, abbiamo capito che i 149 morti da piazza Fontana ad oggi sono stati usati per fermare il progresso sociale. Io però ho paura che se non prendiamo coscienza di quello che sta accadendo oggi, proprio oggi (perché non è vero che chi ha fatto la strage di piazza Fontana e le altre stragi ha perso: se vediamo come siamo fatti noi, oggi, capiamo pure chi ha vinto), io ho paura che se non prendiamo coscienza di questo, la verità arriverà quando non ne potremo piú parlare e non avremo piú nemmeno il diritto di riunirci in associazione.

* Francesca Dendena, storica rappresentante dell’associazione vittime della strage di Piazza Fontana, è morta il 6 ottobre 2010. Aveva perso il padre, Pietro, nella “madre di tutte le stragi”, snodo cruciale della strategia della tensione. Il 12 dicembre 1969 Francesca aveva 17 anni: da allora e per i quarant’anni successivi si è distinta per lucidità e determinazione per l'affermazione di verità e giustizia.

 

 

 

Nicola Magrone

Piazza Fontana, commemorazione con gli occhi di oggi

 

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da un seminario organizzato da Italia Giusta secondo la Costituzione nel quarantesimo anniversario della strage

 

Francesca Dendena

Piazza Fontana, gli operai nel Duomo di Milano

 

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Ultimo aggiornamento Mercoledì 11 Dicembre 2019 14:39
 
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