=ECONOMIA. TROPPO STRETTE LE MAGLIE DEL FISCAL COMPACT= Stampa
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Scritto da Redazione   
Mercoledì 24 Gennaio 2018 08:54

padoan-moscoviciSe leconomia Ue diventa ideologia, lItalia muore


Affinché l’economia europea, ma il discorso vale anche più in generale, si svincoli dai ceppi che la tengono ferma sul punto inferiore (di crisi) del ciclo economico può essere necessaria una forte dose di investimenti pubblici in deficit. Mentre la sequenza meno deficit, meno debito, più crescita è, durante la crisi, peggiore del male del quale intende essere il rimedio.

 di  Mino Magrone
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Per il commissario europeo agli affari economici, Pierre Moscovici, la riduzione del deficit produce la diminuzione del debito pubblico. Ovviamente per il commissario europeo ciò promuove anche la crescita economica. Contenere il deficit entro i limiti imposti dal Fiscal Compact è una necessità specialmente per Paesi come l’Italia con un elevato debito pubblico. A questi imperativi economici non ci si può sottrarre, pena, dice ancora il commissario europeo, la rovina dei conti pubblici e l’inevitabile dissesto economico-finanziario dell’intero Paese.troika-monti

A tale proposito è chiarificatore il riferimento, in Italia, agli anni 2010-2011 quando lo spread era oltre 500 punti base e gli interessi sui titoli pubblici strozzavano la nostra finanza pubblica. Fu il governo del senatore a vita Mario Monti a sostituirsi alla troika adottandone però i compiti.
La storia è nota: dal 2010 si è ridotto di tutto. I consumi, gli investimenti, i prezzi, la spesa pubblica. Ciò che è cresciuto da allora (2010) è il debito pubblico che oggi è del 136% del Pil. Se ci si pone al di fuori del pensiero unico si può raccontare una storia diversa. Non improvvisata, con radici antiche e di sperimentato valore teorico e pratico.

Le relazioni che corrono tra deficit, debito e crescita non sono le stesse sia nei momenti di crescita economica sia in quelli di crisi. Le relazioni tra quelle grandezze subiscono un’inversione di significato. Cioè, con la piena occupazione ulteriori investimenti pubblici in deficit causano non più crescita ma l’apertura di un incontrollabile vuoto inflazionistico. Nei periodi di crisi, con notevole disoccupazione dei lavoratori e di altri fattori produttivi, gli investimenti in deficit combattono la deflazione, riducono la disoccupazione ed avviano concretamente la ripresa e la crescita economica. La crescita aumenta il Pil per cui l’incidenza percentuale del debito pubblico su Pil diminuisce. Tra l’altro, siccome il gettito tributario è una funzione crescente del Pil, anche le entrate dello Stato aumentano con effetti benefici sui conti pubblici.

quote-the-difficulty-lies-not-so-much-in-developing-new-ideas-as-in-escaping-from-old-ones-john-maynard-keynes-15-71-55È questa, appena accennata, la storia diversa che spiega il fatto, fondamentale in economia, che non esistono teorie e prassi economiche valide in ogni tempo, sia nel breve, sia nel lungo, sia nel lunghissimo periodo. Esistono, invece, semplicemente e realisticamente, teorie e pratiche per ogni periodo. In Italia, nel momento della crisi, invece di seguire la via degli investimenti pubblici si è evitata la troika ma ne sono stati seguiti ed adottati i provvedimenti.

Le conseguenze sono quelle che lo stesso ultimo documento di economia e finanza (il DEF) del Ministero economia e finanza (Mef) sottolinea. Come, per esempio, la manovra “Salva Italia” del senatore Mario Monti. Quella manovra, dice il DEF, ha causato un calo annuo del 10% degli investimenti e del 3,6% dei consumi dal 2012 al 2015. Sono percentuali medie annue, cioè riduzioni per ciascuno degli anni dal 2012 al 2015. Inoltre il Pil nello stesso periodo si è ridotto del 4,7% per ciascuno degli anni dal 2012 al 2015. Per ciascuno di quegli anni, il nostro Pil si è ridotto di 75 miliardi di euro, pari alla cifra enorme di 300 miliardi di euro in 4 anni. Anche il debito pubblico nello stesso quadriennio è cresciuto dal 120% al 132% del Pil.
Vale la pena di sottolineare che tutto ciò si ricava dallo stesso ultimo documento di economia e finanza (DEF) del ministero dellamonti economia e finanza (MEF).

Ma se le cose stanno così appare del tutto evidente che la pretesa di imporre una visione unica della politica economica più appropriata per l’Europa ha tutta l’aria di una presa di posizione ideologica ancora molto diffusa negli organi di governo dell’Unione. Affinché l’economia europea, ma il discorso vale anche più in generale, si svincoli dai ceppi che la tengono ferma sul punto inferiore (di crisi) del ciclo economico può essere necessaria una forte dose di investimenti pubblici in deficit. Mentre la sequenza meno deficit, meno debito, più crescita è, durante la crisi, peggiore del male del quale intende essere il rimedio. Si risolve e traduce in ideologia mascherata di scientificità. Questo, veramente, non ce lo possiamo permettere.

Ne sono pienamente coscienti Alberto Alesina e Francesco Giavazzi i quali in un editoriale del Corriere della Sera del 19 gennaio scorso avvertono la necessità che la politica economica non abbia il carattere astrattamente universalistico ma sia più flessibile e aderente alle mutevoli fasi del ciclo economico. Dicono, i due economisti, che se l’Italia nel 2010 avesse avuto conti pubblici più in ordine la nostra politica economica sarebbe stata meno austera, più espansiva e meno restrittiva di come in realtà è stata. Ora, affermano, siamo costretti, anche se percorriamo la fase ancora recessiva dell’economia, a rispettare e applicare il “fiscal compact” per risanare i conti e mettere in grado il bilancio pubblico di affrontare con manovre espansive la prossima crisi economica qualora dovesse, come non si può escludere, sopraggiungere.

senzatettoIl discorso è parzialmente condivisibile. Le maglie del fiscal compact sono molto strette e le deroghe previste nei periodi di crisi appaiono insufficienti a promuovere il superamento della crisi. Pesanti sono i criteri previsti per eliminare la parte del debito eccedente il 60% di Pil (un ventesimo all’anno) e, comunque, le deroghe non possono mai essere tali da oltrepassare il limite del 3% di deficit sul Pil. Resta, però, il fatto che si riconosce la necessità di politiche più adeguate ed aderenti ai ritmi irregolari dello sviluppo economico.

Lo sviluppo ha un suo accertato modo di essere.
Studiare le relazioni intercorrenti tra lo sviluppo economico e le fluttuazioni cicliche equivale a prendere misure di politica economica che hanno la grande ambizione di oltrepassare il disagio e la violenza che le crisi gettano su milioni di famiglie, di bambini ed individui invisibili, perché esclusi ed espulsi dalla società civile. Sono 5 milioni (dati ISTAT), In Italia, le persone che “vivono” al di sotto della soglia di povertà assoluta e 8 milioni quelle in povertà relativa.

Questi sono numeri tragicamente eloquenti che impongono una rinnovata critica dell’economia politica.

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Ultimo aggiornamento Giovedì 25 Gennaio 2018 16:36
 
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