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Scritto da Redazione   
Giovedì 23 Novembre 2017 12:16

 

I CONTI A SINISTRA

 

CON VITTORIO FOA

 

 

LA SINISTRA HA PERSO LA PAROLA. MA LA RITROVA,

ECCO, LA RITROVA, QUESTO E’ SICURO”.

LA RITROVA?

[conversazione con Nicola Magrone]

 

foa 0036

Ripubblichiamo la storica conversazione tra Sudcritica e Vittorio Foa del 16 gennaio 1998, edita dalla nostra Rivista on line il 19 febbraio 2011. Alla ricerca della Sinistra tra solitudine e speranza; sullo sfondo Ignazio Silone. A leggerla, sembra di oggi. La sinistra senza parola e senza storia. E tuttavia, “la sinistra ha perso la parola ma la ritrova, questo è sicuro”.

La ritrova?

[Sudcritica]

 

 

[Nicola Magrone] Con Vittorio Foa, al quale sono “giunto di nuovo” dopo piú di vent'anni dall'averlo conosciuto, ho parlato in uno splendido pomeriggio del gennaio scorso a Roma. Me lo ha fatto ritrovare la cortesia di Miriam Mafai che subito mi disse che il mio desiderio di discutere, oggi, con Foa, era proprio giusto; naturale. 

Ed abbiamo parlato cosí, con la mente ed il cuore ad un pezzo di anni passati ma con i piedi ben fermi al presente.

Foa è persona che incute soggezione a pensarlo e a vederlo da lontano; ti sembra di averlo visto e di avergli parlato ognifoa 0052 giorno, a vederlo da vicino. Socialista, libertario, tutto dentro alla consapevolezza però della durezza del conflitto tra individuo e apparato, sia lo Stato o il Partito o il Sindacato (li abbiamo, tra noi, chiamati “organizzazione”). Mi ha detto cose inedite sulle quali ancora si arrovella. Aveva letti tutti i miei colloqui su Silone, con Tonino Bello, con Fabrizio Canfora, con Ernesto Balducci; io stesso ne avevo smarrito, nella memoria, alcuni momenti. E mi ha detto che non è senza ragione, oggi, a sinistra, l'affievolirsi della speranza. Ma mi ha detto, pure, che “la testa” la ritroviamo; sicuro che la ritroviamo; quando? fra non molto. S'incaricheranno le povertà dei prossimi anni a ridare alla sinistra cuore, ragione e voce. Lui parla con serenità dei suoi imminenti novant'anni ma è a me che tocca di chiedermi se ci sarò anch'io quando la sinistra “ritroverà la testa” nei corridoi stuccati di una grigia bicamerale.

Mi ha accompagnato alla porta di casa, fraternamente; ma non so se ci tornerei di nuovo senza soggezione. Della sua lunghissima attività sindacale e politica, molte sue scelte non lo convincono, e lo dice; e non mi convincono, e lo dico. Ma lui mi dice: e che cos'altro si doveva fare? mettersi da parte, lasciar fare? Ripartiamo di qui: che cos'altro?

 Roma, 16 gennaio 1998

 

Ignazio Silone con Ivan Matteo Lombardo e Sandro Pertini, 1946

Silone Lombardo Pertini

Sudcritica - Silone, l’hai conosciuto?

Foa - Ho conosciuto Silone, non l’ho frequentato; sono andato una volta a trovarlo - sarà stato, io penso, nel ’46 - con Riccardo Lombardi. Non ricordo con precisione l’andamento della conversazione, ma posso immaginare di che cosa si trattasse, un tema che certamente riguardava uno dei “versanti” che ci pone la vita di Silone. Cioè: io ero nel partito d’azione con Riccardo Lombardi, il partito d’azione si stava spegnendo, non aveva piú ragione d’essere. Noi eravamo politicamente attivi, ci trovavamo di fronte un’attrazione che era quella del partito socialista, ma il partito socialista era sulla soglia della sua rottura formale, nel ’46. Si ruppe poi al congresso di Roma, alla città universitaria, nel gennaio del ’47. Le due anime del socialismo, come si presentava allora, erano quella riformista e quella un po’ massimalista di Nenni, di Moran­di e di Basso. Cosí come si presentava, poneva a noi dei problemi, in qualche modo: perché il gruppo di cui facevo parte con Riccardo Lombardi - che poi era la maggioranza di quel che restava del partito d’azione - era deciso in qualche modo ad entrare nell’area socialista. Allora, la discussione con Silone era proprio su questo. Silone allora era… si orientava, insieme con Saragat, verso una linea di socialismo democratico, nettamente distinto e anche polemico con l’ala nen­nia­­na, che era strettamente legata ai comunisti.

 …era frontista… 

La discussione con Silone era su questo. Con Silone, si poneva subito il problema dei rapporti con i comunisti. Che è un problema tor­men­toso di Silone perché Silone - come ho trovato poi in Koestler - era un comunista nato: non era uno che avesse avuto… che il comunismo gli si fosse disvelato con i libri… il comunismo era dentro quella che lui chiama la contrada, la contrada gli dava il comunismo…

Lui lo spiega anche come diventò comunista, in Uscita di sicurezza: la storia della vecchietta…, quindi non per via ideologica… appunto, come dicevi tu. 

Uno dei problemi che poneva, che può porre in qualche modo il rapporto con Silone, è quello per l’appunto della enormefoa 0044 difficoltà che la sinistra ha avuto - la sinistra democratica o libertaria - nel porsi in rapporto con il mondo comunista. L’altro tema che voi riprendete molto nei vostri scritti - che è molto importante - è il rapporto tra struttura e individuo, tra appartenenza e coscienza. Ho indicato due possibili temi di Silone, ma ce ne sono tanti altri.

Su ognuno di questi problemi, indubbiamente Silone rappresenta una forte provocazione intellettuale. E presenta anche molte contraddizioni, come tutte le provocazioni intellettuali.

Il primo punto - che è, secondo me, un problema non risolto - lo sentiamo venire avanti non tanto dalle rozzezze revisionistiche, dal revisionismo storiografico che si diffonde, continua a diffondersi; lo sentiamo venire avanti come domanda anche delle nuove generazioni. Io me lo sento venire: tu sei sempre stato contro la ideologia totalitaria… perché hai lavorato con loro? perché sei stato con loro? perché non li hai denunciati pubblicamente? perché non hai detto che le cose stavano cosí? Tu potevi anche non sapere i dettagli dello stalinismo, della lotta contro i contadini, sia quella della guerra civile come quella poi della carestia e delle depor­tazioni, puoi anche non aver saputo i particolari, della gente ammazzata… però l’insieme lo sapevi, i processi di Mosca li leggevi, queste cose le sapevi… e allora perché? Questa domanda viene continuamente avanti. E, naturalmente, nel corso di una lunga vita, di risposte ne ho date. Le risposte… Una risposta, per stare per un momento vicino all’esperienza di Silone, poi vediamo anche altri tipi di risposte, è questa: come si faceva a denunciare pubblicamente, in quella situazione, nella situazione della guerra fredda, nella situazione che si creò dal ’46 in poi, come si faceva a denunciare pubblicamentela Russia senza diventare immediatamente, in qualche modo, “occupati” dagli americani? Parlo proprio della parola “occupati”, nel senso che si andava al di là di qualunque intenzione… Uno poteva anche affermare la piena autonomia del suo sentirsi socialista, del suo sentirsi rivoluzionario, del “rifiutare”…, però, di fatto - io ricordo quel mondo - si era subito, in qualche modo… “dall’altra parte”. E Silone, e Chiaromonte, pur nella novità del loro atteggiamento, indubbiamente questa esperienza in parte l’hanno subíta… sono stati “occupati” dagli americani. Al di là delle loro intenzioni…

Sono stati “occupati” dagli americani, anche per la spinta che hanno avuto dai comunisti, da Togliatti. Togliatti li ha presi e li ha sbattuti nelle mani… quasi quasi dei fascisti, addirittura. 

foa 0039Sono d’accordo con te, sono molto d’accordo con quello che dici: c’è stata questa spinta. A distanza di anni, di molti anni, viene invece la convinzione che era possibile far diversamente, era possibile non stare… Se voglio fare accenni autobiografici, potrei dire: io ho fatto un’esperienza della quale ho trovato in qualche modo qualche traccia anche in Silone, anzi piú che traccia, dei segnali forti in Silone, non mi ricordo piú se nel Seme sotto la neve o se in Vino e pane. Il comunismo non era soltanto lo Stato sovietico… certo era anche lo Stato sovietico, certo era anche la filosofia della storia per cui tu sei un esecutore, nulla decidi tu, tu sei quello che deve applicare le “decisioni della storia”. E’ vero questo. Ma il comunismo era anche un’altra cosa, per gente come me e come moltissimi altri: era gli uomini e le donne comunisti; non aveva nessuna importanza che quegli uomini e quelle donne credessero nell’Unione sovietica… Sí, loro credevano nell’Unione sovietica e sbagliavano, credevano nel destino della storia e sbagliavano (ché la storia non ha destinato nulla), però, di fatto, il loro modo… era una lotta di libertà, era una lotta… Quando loro si muovevano, potevano anche dire delle sciocchezze però si muovevano… sono loro che hanno difeso la nostra vita collettiva, no? Loro, con altri.

Certo, ma questo fa diventare tragico il tutto…

Certo. Silone a un certo punto dice, racconta - forse in Uscita di sicurezza - come ha smesso di andare a messa. Lui andava a messa e poi ti dice: “io mi annoiavo e poi ho capito che io stavo bene con quelli che stavano fuori della chiesa. E ho visto che quelli che stavano fuori della chiesa erano i braccianti, e io stavo bene con loro, e non stavo bene con quelli che stavano dentro la chiesa”. Che cosa vuol dire questo? Che c’è un elemento di scelta politica, e morale, che è dato dalle persone, dai soggetti vivi, uomini e donne. Son loro quelli che ti… Voglio dire non è il comunismo… Puoi dire che il comunismo è tutte le cose che vuoi, bruttissime… però c’è un altro modo… i viventi, il vissuto.

Ma questo si può dire, paradossalmente, anche del fascismo, del franchismo… C’è sempre un popolo… un insieme di persone. Mio padre, che durante il fascismo non è stato un eroe antifascista, non è stato nemmeno un servo dei fascisti; è stato un uomo disorientato, è stato un uomo sperduto… beh, quello è anche un uomo…

Non sono tutti uguali… non sono tutti uguali. Io, per esempio, sono molto critico verso i tentativi che vengono fatti di cosiddetta riconciliazione. Perché sono critico? Perché non si può dire: amavamo tutti la patria. E’ vero che c’era la patria fascista, è verissimo, però era diversa dalla nostra. Perché la patria fascista era la patria che affermava verso il resto del mondo la sua forza e la sua superiorità, ed era la sua forza materiale; la patria nostra era in qualche modo l’emancipazione dal bisogno e dalla povertà materiale e morale, dalla sotto­missione, la lotta di libertà non era una lotta di oppressione. C’era una differenza… c’era una differenza… E guarda che, quando Silone ti dice: “la gente che era dentro la chiesa mi annoiava, quelli che mi interessavano erano quelli che stavano fuori”, anche lui fa una differenza. Anche quelli che sono nella chiesa erano popolo, guarda, anche loro. Certo che sono popolo, però… Io molte volte mi sono domandato - questo è un problema molto interessante, per me, è un problema molto interessante - chi erano “gli altri”. Io sono molto vecchio e ho vissuto un pezzo della mia vita molto prima della Resistenza; quando ci fu la Resistenza io ero già un vecchio uomo politico, da molto tempo. Molte volte mi sono domandato… Quando ho fatto l’azione antifascista eravamo pochissimi, quando poi siamo stati presi, condannati, eravamo molto pochi; io avevo molti amici che erano invece schierati, non dico fascisti ma che accettavano e vivevano accettando. Molti amici miei, anche di quelli che poi son diventati importanti antifascisti, io li ricordavo quando ero in carcere, ricordavo il loro distintivo, la loro camicia nera. Io non avevo mai provato verso di loro un senso di odio: quel senso di solitudine che noi pochi, quattro gatti com’eravamo, abbiamo provato per molti anni, negli anni Trenta e nei primi anni Quaranta, non ci portava ad una polemica con quelli che accettavano il fascismo.

Perché? 

Poi me lo sono domandato molte volte: perché “quegli altri” che non erano con me, che erano questa grande massafoa 0051 indeterminata, “il consenso”, perché non mi ha mai turbato? Consideravo quel “consenso”  evidentemente una forma di sottomissione, di debolezza ma non da considerare con odio. Perché, secondo me, se tu escludi lo sfruttatore - noi parliamo di quelli che sono anche loro sfruttati ma non se ne rendono conto; io parlo di questi, non parlo degli sfruttatori - se tu escludi quindi gli sfruttatori e vedi gli altri, tu vedi che quando loro consentono al sistema di sfruttamento lo fanno non per un’adesione alla verità del capo, lo fanno per un’altra cosa: cioè il consenso è in qualche modo orizzontale nel popolo, lo fanno per non essere diversi dagli altri, per questo senso di conformità: io faccio come gli altri. Ho un esempio: se vado in America - io non credo, io non so se la mia compagna mette le tendine alle finestre, non ho mai guardato, credo di no; io non metto le tendine alle finestre - se io vado in America e vado a vivere in una piccola città americana, tutti mettono le tendine alle finestre e le metto anch’io; per non essere diverso dagli altri. Guarda che questo elemento della conformità è un elemento di cui bisogna tener conto. In altri termini: ci sono gli sfruttati consapevoli, del loro sfruttamento e del carattere sistematico - di sistema - dello sfruttamento; ci sono gli sfruttatori, anche quelli sistematici; gli altri, la gente che non è una cosa né l’altra mi sta a cuore profondamente. E io devo capire perché loro non sono con me, devo capirlo.

 ma quelli stanno da tutte le parti... 

...da tutte le parti...

 

… questo tipo di umanità trasversalmente conformista, questa massa di persone, di uomini, di donne… ci sono da tutte le parti; non solo duranteil fascismo; non credo. Si poteva essere… 

...sí…

…per esempio comunisti, allora, anche per una sorta di conformismo trasversale come quello che faceva diventare magari fascista, di fatto, gente che non era sfruttatrice, che non era ideologicamente convinta di essere fascista, di essere razzista… 

però…

 

...voglio dire: è possibile che si sia stati anche, o che si sia, comunisti perché, essendo uno lavoratore, è anticonformista, in una certa fase, per lui, non essere comunista? 

Sí, hai ragione… io ti do ragione, però non cambia il fatto…

...come nelle cosiddette “regioni rosse”: non è che siano, o siano stati tutti comunisti, ma perché comunque era…

foa 0056questo conformismo trasversale, come dici, certamente era presente anche da noi.

Però, nel ricordo di una lunga azione sindacale quelli che emergono nella mia memoria - anche se i loro nomi ormai mi sfuggono - sono figure di uomini, e di donne anche, era una certa figura di militante consapevole; che erano migliaia di persone. Ora, perché - questo però è un altro discorso che tocca altri temi siloniani -, come mai ad un certo punto questo mondo viene cancellato…? Quella domanda che tu mi fai, se cioè dentro di loro non vi era anche questo conformismo, come mai questa disaggregazione di un’esperienza non viene mai posta? Perché c’è una rimozione cosí drammatica di cinquant’anni di storia? Perché i comunisti tacciono? Non lo so, questa domanda la faccio io a voi. Perché i comunisti tacciono?

Io non so perché questo accade, io non so risponderti… 

...e lo so… è difficile.

…ho la tentazione di risponderti molto epidermicamente: tacciono perché vogliono oggi apparire altro da sé. 

Esatto. Però tu sai che anche dentro questa risposta c’è qualche domanda da porsi: perché mai devono essere cosí affannati nel voler essere diversi, perché?

Allora, per tornare un momento alla domanda iniziale: perché siamo stati con i comunisti, sapendo piú o meno quello che succedeva. La risposta piú ovvia è la risposta dell’anti­fa­scismo: l’antifa­scismo è la cartina di tornasole che ti serve per tutti gli usi, cioè: erano, eravamo anti­fascisti… dopo tutto anche Roosevelt ha fatto lo stesso, anche Churchill ha fatto lo stesso, sono andati a pranzo con Stalin. Bisognava battere quel nemico numero uno, e allora andavi con gli altri… per battere il nemico numero uno. Questa risposta è una risposta che non basta assolutamente; l’abbiamo usata per tanti anni questa risposta, e non basta, non basta.

E che risposta ci vorrebbe, ora, invece? 

E’ il problema della verità, che in una delle parabole di Silone, quella del parroco davanti alle marionette, del diavolo, etc...

...è un passo di Uscita di sicurezza di Ignazio Silone; vogliamo rileggerla insieme?Lo rileggo: 

 «Ricordo in proposito una vivace discussione sorta un giorno, nella classe di catechismo, tra noi ragazzi e il parroco. Ne fu causa unaPescina 2 rappresentazione di marionette alla quale noi ragazzi, assieme al parroco, avevamo assistito il giorno prima. Il soggetto, lo ricordo benissimo, esponeva le drammatiche peripezie d’un bambino perseguitato dal diavolo. A un certo punto il bambino marionetta era apparso sul proscenio tremante di paura e per sfuggire alle ricerche del diavolo si era nascosto sotto un lettino che occupava un angolo della scena. Poco dopo era sopraggiunto il diavolo-marionetta e l’aveva cercato invano.

« Eppure dev’essere qui », diceva il diavolo-marionetta, « sento il suo odore. Adesso chiedo a questi bravi spettatori ». E rivolto a noi, aveva chiesto:

« Cari miei ragazzi, avete forse visto nascondersi in qualche posto quel bambinaccio che io cerco?»

« No, no, no », immediatamente gli rispondemmo in coro e con la piú grande energia.

« Dove si trova dunque? Perché non lo vedo? » - insisté il diavolo.

« E’ partito, è andato via », noi gli rispondemmo, « è andato a Lisbona ». (Nel nostro parlare e nei nostri proverbi, Lisbona è ancora oggi il punto piú lontano del globo).

Devo spiegare che nessuno di noi, andando allo spettacolo, prevedeva di essere interpellato da un diavolo-marionetta; e il nostro comportamento era stato pertanto del tutto istintivo e spontaneo. E suppongo che, probabilmente, in qualsiasi altro paese del mondo, davanti all’identico spettacolo, i bambini reagirebbero alla stessa maniera. Ma il nostro curato, una colta e pia persona, con nostra sorpresa, non fu interamente soddisfatto. Ce lo spiegò con rammarico nella piccola cappella di Santa Cecilia, ove di solito egli impartiva le lezioni di catechismo. Quel luogo a noi ragazzi era assai gradito perché la martire romana vi era raffigurata sull’altare nelle bellissime sembianze d’una fanciulla bionda, assorta e melanconica, e con un oggetto tra le braccia somigliante in modo strano all’utensile domestico chiamato « chitarra », che nelle nostre case serve a fare gli spaghetti all’uovo. L’immagine ci attirava a tal punto che, per sottrarci a quella seduzione, almeno durante l’ora del catechismo il curato era stato costretto a disporre i banchi di noi ragazzi in modo da costringerci a voltare le spalle a Santa Cecilia.

« Il vostro comportamento durante la rappresentazione delle marionette », egli ci disse dopo averci imposto di sedere, « mi è dispiaciuto ».

Noi avevamo detto una bugia, egli ci avvertí preoccupato. L’avevamo detta a fin di bene, certo, ma era pur sempre una bugia. Non bisogna dir bugie.

« Neppure aI diavolo? » domandammo noi interdetti.

« Una bugia è sempre un peccato », ci rispose il curato.

« Anche davanti al pretore? » domandò uno dei ragazzi. Il parroco ci redarguí severamente.

« Io sono qui per insegnarvi la dottrina cristiana e non per fare pettegolezzi » ci disse. « Quello che succede fuori della chiesa non m’interessa ».           

ignazio-siloneE tornò a spiegarci la dottrina sulla verità e sulle bugie, in generale, con bellissime e difficili parole. A noi bambini però non interessava, quel giorno, la questione delle bugie in generale; noi volevamo sapere: « Dovevamo rivelare al diavolo il nascondiglio del bambino, sí o no? »

« Non si tratta di questo », ci ripeteva il povero curato veramente sulle spine. « La bugia è sempre peccato. Può essere un peccato grande, uno medio, uno cosí cosí, e uno piccolino; ma è sempre un peccato ».

« La verità è », dicevamo noi, « che da una parte c’era il diavolo e dall’altra c’era un bambino. Noi volevamo aiutare il bambino, quest’è la verità ».

« Ma avete detto una bugia », ripeteva il parroco. « A fin di bene, lo riconosco, ma una bugia ».

Per farla finita io gli mossi un’obiezione d’una perfidia inaudita e, tenuto conto dell’età, piuttosto precoce.

« Se invece d’un bambino qualsiasi si fosse trattato di un prete » gli chiesi « che dovevamo rispondere al diavolo? »

Il parroco arrossí ed evitò una risposta, imponendomi, come punizione per la mia impertinenza, di restare tutto il resto della lezione in ginocchio accanto a lui.

« Sei pentito? » mi chiese alla fine della lezione.

« Certo », gli risposi. « Se il diavolo mi chiede il vostro indirizzo, glielo darò senz’altro ».

 

Guarda che, se ci pensi bene, non è una storia probante per nulla, perché se io devo dire una bugia al diavolo…; è agli altri che è difficile dire le bugie, al diavolo puoi anche dirle! Non ci sono problemi, no? Se io prendo il diavolo che mi fa una domanda, il paradigma non è adatto; va da sé… il diavolo è nemico di Dio, quindi io dico: non posso tradire Dio. Il problema però si pone: le risposte che vengono date in generale non sono convincenti. Non è convincente la risposta che vi ha dato Tonino Bello della riserva mentale; la riserva mentale è inaccettabile, secondo me. Se io non dico: il bambino è nascosto lí, non ho bisogno di fare un discorso che costruisce una riserva mentale, per dire che non ho mentito. Mentisco, consapevolmente, devo mentire; se la causa mi chiede di mentire, mentisco, apertamente.

E quindi se la causa ti dice di dire la verità, tu la dici. 

Certo, certo.

E quindi se la causa ti dice di dire dov’è quel bambino, tu lo dici. 

Certo. Però se io per dire la verità devo alienarmi…, rompere con gente nella cui buona fede io credo, con la quale lavoro, con la quale do un senso anche tramite l’organizzazione della mia vita, non solo nel lavoro, ma anche nella famiglia, negli affetti e tutto quanto, so che corro un isolamento nel quale qualcun altro poi mi occupa, la scelta che io faccio non è una scelta di riserva mentale, è la scelta del silenzio, è una scelta di sopravvivenza. Capisci quello che voglio dire?

Però il bambino se lo mangia il diavolo… In quella parabola il bambino è l’immagine dell’innocente, che viene stritolato da due logiche contrapposte, quella del diavolo…

e quella del parroco.

e quella del parroco. Allora, questo bambino innocente… tonino bello 0086

come lo salvi?

Tu ricorderai, se hai avuto la possibilità di leggere, che Balducci invece ci rispose: no, io lo salvo, io lo salvo, io lo salvo, io non dico al diavolo dove sta il bambino, non glielo dirò mai.

Certo, ma la risposta è questa. La risposta è questa. Quando ti dico che non ci vuole riserva mentale, voglio dire che quando polemizzo, ipoteticamente, con don Tonino perché la riserva mentale alla quale lui ricorre è brutta, voglio solo dire che io non ho bisogno di cercare dei pretesti, per mentire, devo mentire, punto e basta; ne sono convinto. La risposta di Balducci è giustissima.

Fabrizio Canfora,  ricorderai…

... eh, l’ho visto. Ma perché è stalinista… Canfora è terribile…

…lui dice: bisogna vedere di che bambino si tratta…

ah, per carità, quello è inaccettabile…

…perché se lui, con la sua sopravvivenza compromette la causa, allora io lo mollo e lo consegno al diavolo…

sí, però noi, noi non abbiamo mangiato bambini, questo lo devo dire…

Certo, certo…

canfora 0075Però questo problema non è che non ci sia, io me lo sento sempre venire. Me lo sento venire dai miei figli, dai piú giovani che ti guardano anche con affetto e ti dicono: sí, va bene, abbiam capito, sí abbiam capito però… non basta… la storia dei rapporti con i comunisti non basta. Forse bisogna essere piú attivi nel ricordare, piú coraggiosi nel ricordare…

appunto… Noi eravamo a Silone e tu dicevi che eri andato con Lombardi

Lui però, vedi - e qui passiamo all’altro problema, quello del rapporto fra appartenenza e coscienza. Io posso affermare la coscienza, ma poi non mi accorgo che scelgo, molto spesso, o che mi accade di scegliere un’altra appartenenza. Capisci quello che voglio dire? Nel caso di Silone, è stato cosí. La coscienza gli ha detto: io respingo, ma poi si è trovato…

…poi si è trovato vestito diversamente.

Senz’altro…

D’altra parte guarda, questo non è stato un problema solo per Silone. Se io ora, in questo momento, dovessi dire: alcune cose che dice Prodi  mi sembrano proprie di un conservatore , se dico questo, immediatamente io mi colloco nelle braccia di Casini, di Fini,e compagnia brutta... Questo è un ricatto continuo che subiamo, in continuazione, che mi fa pensare che non c’è speranza per una cultura di sinistra.

non è questo…

…ma si può dire una parolina critica nei confronti della sinistra senza essere buttati nelle braccia della destra, senza essere ‘occupati’ dalla destra, come  dici tu di Silone?

Probabilmente, se tu dici la parola critica non cadi nelle braccia di nessuno; bisogna che ci abituiamo a dire anche le cose che dice la destra con un animo diverso, spiegando perché l’animo è diverso, spiegando perché tutto il contesto è diverso, non aver pau­ra che ci sia qualche parola che dicono anche quelli, se io dimostro che il mio contesto, il mio modo di vedere non è quello. Io vedo che questo è possibile. Noi abbiamo avuto sempre molto timore, io poi che sono cosí vecchio ho avuto anche per lunghi tratti della mia vita timore di cadere in questo, di non dire una cosa per paura che l’altro…

…di “fare il gioco”…

Sí, vedi, Nicola, c’è un altro aspetto, in tutto il dibattito che voi avete sollevato, su cui voglio fermarmi un momento, proprio sul rapporto struttura-individuo.Tu, Nicola, dai alcune indicazioni autobiografiche interessanti a questo riguardo. C’è una questione (è posta molto chiaramente nelle vostre conversazioni con Tonino Bello, con Fabrizio Canfora, cobalduccin Ernesto Bal­duc­ci): il rapporto con la struttura… la struttura è essa stessa il prodotto di coscienze, quin­­di vi è un momento in cui la struttura nasce come prodotto di libere coscienze. Poi cambia, e diventa fine a se stessa, autoreferenziata come si dice, e quindi diventa qualcosa di radicalmente diverso. Allora si ha molte volte - qualche volta, non molte volte - il tentativo di tornare alle origini. Anche quelli che tornano… l’esule che torna a casa, l’esule che torna a vedere la propria casa... c’è sempre in questo anche l’illusione di tornare alle origini, di uscire dai dogmi, di tornare alla spontaneità della fede originaria. Qualche volta queste cose danno anche dei risultati, che poi nel tempo vengono riassorbiti perché la struttura ce lo impone. E tuttavia, nella struttura c’è comunque la traccia delle sue origini, capisci quello che voglio dire? per esempio il cattolico può riconoscere che la Chiesa non è piú… però il tratto delle sue origini tu lo vedi. Che cosa dice don Tonino? don Tonino dice: va bene, la chiesa è come il partito, con in piú una cosa, però, il mistero. Se ci metti il mistero dentro, abbiamo risolto tutto; me la cavo, eh? Me la cavo… io c’ho il mistero e sono a posto.

… tu dici: la domanda finale, cosí, non mi può essere posta, la evito anzi.

Sí; se ci metti il mistero, quella domanda sul rapporto struttura-individuo non può nemmeno essere posta.

E allora che succede? Quando tu hai contribuito a creare, impegnando la tua esperienza vera, individuale, concorri con tutti gli altri individui a costruir­­e una struttura per stare insieme, delle regole… , questa cosa che hai contribuito a fare va, poi, per conto suo, diventa - come dicevi tu - autoreferente, si autogiustifica: a quel punto che cosa si fa? Silone che diventa? diventa fascista a quel punto, sol perché si ritrae dalla “cosa” alla quale appartenne? L'esperienza del Psiup, alla quale tu desti il tuo decisivo contributo, non fu un tentativo di dare risposte a questo tipo di travaglio che si viveva? sfuggire alla tenaglia dei tempi: democristiani/comunisti; e dentro a quel travaglio, il rapporto con la struttura, il rapporto col partito del quale devi essere esecutore, perinde ac cadaver quasi, devi essere servo cieco, per fede; il timore anche che questo approccio critico con i comunisti, con la sinistra per antonomasia del tempo, ti facesse diventare socialdemocratico nell’accezione peggiore, cooptato nelle scelte atlantiche e capitalistiche;  quel momento - tu ricorderai meglio di me - fu molto strano, ed anche bello per qualche verso, tanto che qualche volta - te lo dico francamente - mi viene voglia di chiedermi: ma perché non lo si rifà ora, il Psiup; ora; che cosa ci sarebbe di strano? ora che sono tutti socialdemocratici, perché non capita a qualcuno di dire: e allora facciamo un partito socialista di quel tipo?

ma c’è Rifondazione.

Che è comunista, però… si riproporrebbe la stessa tenaglia dalla quale si voleva uscire. Aiutami a capire.

Sí, è vero, hai ragione… Io ho dei tentativi di risposta, che sono solo tentativi. Per il momento non riesco ad entrare in alcuni esempi della mia vita politica, ma mi domando molte volte: rispetto alla coscienza, alle scelte della coscienza, come si presenta la struttura, il partito…? Molte volte mi viene un dubbio (te lo dico, e guarda che è un elemento di dubbio che però ti esprimo): la struttura è la cristallizzazione delle speranze, dei sogni, degli ideali di una costruzione collettiva del passato; si irrigidisce, è vero, tutto questo è verissimo; però, nella struttura c’è anche qualcos’altro, forse: c’è forse anche qualcos’ altro, che è l’idea che ci son degli altri, altra gente, che non è in grado di partecipare alle speranze, alle cose di cui ti parlavo prima, che si sente tutelata dalla struttura, dall’azione collettiva, dal fatto che sono in molti insieme a darle una sicurezza, che “vede” questa sicurezza. Io so che questa sicurezza è sbagliata, lo so; però so anche che quella gente che ha questa sicurezza va rispettata. E nel momento in cui penso che va rispettata, io devo anche stare attento a non accettare la legge di quella struttura come legge assoluta: posso accettarla come opportunità, come convenienza, per attenuare i dolori, per non spegnere delle speranze. E’ tutto il discorso dello stato sociale, in fondo: lo stato sociale è il prodotto di uno stato che è intrinsecamente autoritario, però esso ha tolto tanta gente dalla disperazione: l’assistenza, la previdenza era prima spontanea, le società di mutuo soccorso... Quando il nostro amico Pino Ferraris, lui che con la sua mente è un forte pensatore, torna al mutuo soccorso e alle forme di spontaneità, io gli dico: sta attento, perché allora il mutuo soccorso era pagato da chi aveva i mezzi per pagarlo, gli operai che stavano in alto, gli specializzati, i poveri invece non ce la facevano a contribuire… Allora, quando viene lo “Stato sociale” è giustissimo: è un bel dire che entra la burocrazia, entra la corruzione, però è anche vero che un minimo di sicurezza il bisognoso ce l’ha. Allora, tu capisci, Nicola, quello che voglio dire? nella struttura ci sono mille cose che sono inaccettabili ma c’è molto spesso una che va accettata.

ma sai che cosa ti replico a questo…

foa 0037Dimmi… anzi, mi fa piacere, non sto cercando consenso, sto avanzando ipotesi.

Quello che tu dici è giusto, ma sarebbe giusto ad una condizione: che, cioè, fosse concepibile una struttura - chiamiamola cosí adesso - che questo rapporto di ragionata adesione consenta. La tragedia è che la struttura, al primo accenno di critica, nonti dà piú manco lo spazio perché questo tuo modo di “aderire criticamente” sia testimoniato. Ti sbatte fuori, insomma, per essere brutali.

Vedi, noi assistiamo oggi ad un forte declino di questa capacità critica, però nel corso di questo secolo che sta morendo abbiamo avuto delle fasi in cui questa capacità critica si è manifestata. Dunque, nulla vieta di pensare, anzi io son convinto che voi vivrete nuove “pagine critiche”, nuovi conflitti; saranno, però, probabilmente diversi da quelli nostri… questo sí;

…diversi anche nel linguaggio...

anche nel linguaggio; saranno diversi. A questo io ci credo molto, io ne son convinto. Perché, se è vero che il vecchio “linguaggio” del puro rapporto di classe - che pure continua ad esser valido - non ha piú la preminenza di una volta, ce ne saranno altri di conflitti. Guarda che il conflitto tra il centro e la periferia c’è già, esiste a tutti i livelli, internazionali e interni, è una metafora, ma di fatto è già una realtà.

Però, Vittorio, proprio perché questo conflitto c’è già e non da oggi naturalmente, io torno a fare sempre quella riflessionekohl-prodi ansa 7684076 40290 piccola: sento Prodi - io sono stato deputato progressista, no?- sento Prodi che rassicura Kohl che noi sorveglieremo le nostre coste come “porta dell’Europa” rispetto ai Paesi che assalgono l’Europa…; mi fa arrabbiare. Non capisco: era un modo per identificarci da qualche parte anche l’idea che noi dovessimo essere attenti, solidali con i popoli piú deboli, con i popoli che bussano alla porta… devo sentirmi dire dal nostro leader “noi siamo i guardiani…”, a Kohl, di masse di poveri cristi che bussano alle porte… lascia stare delinquenti, non delinquenti, questo fa parte della retorica…

...di polizia…

appunto, poliziesca. Io lo vivo cosí, è un canone, se posso usare questa espressione, un canone laico: non puoi chiudere la porta, ed essere il portiere di Kohl garantendogli: “non ti preoccupare, noi li sbatteremo via, non li faremo entrare”. A me mi angoscia questo fatto.

Nella mia città, io non ci vado quasi mai, ma quando ci vado sono colpito da una cosa che è molto triste, che cioè il linguaggio

polemico verso gli immigrati, anzi il linguaggio violento di una civiltà violenta, che si manifesta anche con l’azione pratica, viene dai poveri, dai poverissimi, viene dai piú esposti. Hai un fenomeno in cui l’immigrato è una risorsa per i ricchi, è una grande risorsa perché hanno lavoro a buon mercato, fa dei lavori che gli altri non han piú voglia di fare; pensa all’assistenza domestica: se non ci fossero le filippine… le filippine sono la benedizione per le vecchie donne che hanno la possibilità di pagare. Ma allora questo elemento di contraddizione, Nicola, ce l’abbiamo dentro.

Ma quello dell’accoglienza è un canone, anche laico; o no?

Questo interrogativo che tu ti poni è molto giusto, però tu capisci l’elemento di contraddizione… non è che io mi trovo davanti una contraddizione della società e però devo seguire un certo canone - quello che tu dici giustamente, figurati se non lo riconosco -; io devo sapere che la contraddizione ce l’ho io dentro, guarda ce l’abbiamo noi, è dentro di noi. Forse sbaglio… hai capito quello che voglio dire?

Ho capito, ma ho anche un po’ paura…

eh, lo so.

 …ho anche un po’ paura. Ora finisce che mi sento io piú “uomo di apparato”; quando tu dici: ‘“questa contraddizione ce l’abbiamo noi dentro”, immagina che ti stesse a sentire un “padrone” nell’accezione piú brutale del termine; lui direbbe: “lo dice anche Vittorio che in fondo ciascuno di noi si porta dentro questo ‘istinto alla discriminazione’, e ve la prendete con noi?”… Un po’ m’impaurisco; ne ho motivo?

Un po’ penso di sí. Però è la verità…

Oggi, dunque, tornando se mi permetti a quell’incontro tuo con Silone, quale lezione, anche negativa, ne trai? Parlavi all’inizio del Silone immediatamente “occupato”…

la-ca-ignazio-silone14-2009jun14Sí; ma anche noi, anche noi siamo stati “occupati” dall’altra parte… Noi siamo entrati nel partito socialista convinti di entrare a fare una battaglia per l’autonomia del socialismo, sia dai capitalisti sia dai sovietici, e siamo diventati del peggiore partito stalinista che c’era. Il partito socialista, tra la fine degli anni Quaranta e i primi anni Cinquanta, è stato l’abiezione della vita politica italiana, l’abiezione, una vergogna. Io posso pensare di essermi salvato in qualche modo; chi lo sa se mi sono salvato, forse sí, forse no. Potevamo forse uscirne, si poteva non fare… Bisognava, però, forse vincere come apparato, riuscire a fare un partito su questa linea di autonomia, e noi invece abbiamo perduto proprio su questo… abbiamo perduto. Perché da un lato c’è stato Saragat con i suoi - alcuni, molta gente era proprio poco… racco­man­dabile, però alcuni nomi, Chia­romonte, Silone, Mondolfo, tutt’altro -, e dall’altra parte c’erano gli stalinisti; e noi eravamo con loro. Sarebbe stato possibile fare un partito autonomo? Se­con­do me, sarebbe stato possibile. Ci fu un tentativo, l’abbiamo fatto noi nel ’48. Siamo stati scon­fitti. Forse potevamo uscire dal­la vita politica, tornare alle no­stre professioni, potevamo uscire, forse questa era la so­luzio­ne: invece ci siamo stati e ab­biamo cooperato in questo ten­tativo.

Beh, ma non è stata una brutta cosa, quel tentativo. Non credo che sarebbe stata una buona soluzione “uscire”.

Non lo so, ma la domanda quando ti viene…

Posso dirti una cosa, Vittorio, con un po’ di spregiudicatezza? Me lo permetti? Noto in ques­to tuo dirci alcune cose che hai una certa riluttanza ad evo­care l’esperienza del Psiup…

sí…

...non so, non ho elementi per affermare questo… però…

Il gruppo dirigente del Psiup era stalinista, no?

Sí, è nato cosí, furono chiamati “carristi”.

ecco, e allora…

...però si trasformò subito, Vittorio; tu lo ricordi meglio di me; il Psiup nacque con una ottica e in una prospettiva piuttostopsiup 829 cupa: passarono con la definizione di “carristi” per la giustificazione dell’invasione dei Paesi dell’Est… per quell’adesione del gruppo dirigente alle categorie più ferree del leninismo, del marxismo; “codista”, si disse, rispetto all’Unione sovietica e ai comunisti. Nello stesso tempo, però, fu un partito straordinario, quello, che a dispetto di se stesso, del suo gruppo dirigente, si trasformò nel giro di un anno, un anno e mezzo in un partito che veramente finí col rischiare di essere un partito libertario, quasi anarchico, ricco di giovani; un processo incredibile…

ma è stato poi tutto represso nel ’68, te lo ricordi?

come no? me lo ricordo… Ma al comitato centrale ultimo ci fu Vecchietti che disse: “compagni, il partito confluisce nel Pci”; tu ti alzasti, lí, e dicesti:“compagni, il Psiup continua e si rinnova”.

eh sì, lo so… ma non abbiamo avuto la forza di farlo.

Perché? ma quale leninismo, ma quale stalinismo, nel “nuovo Psiup” che lanciasti; ma quando da te è venuta una parola che echeggiasse la cultura staliniana, quando mai…

Sí, è vero, mai. Va bene, però, perché non abbiamo avuto la forza di farlo? perché a un certo punto sopravviene la stanchezza, non si può chiedere a tutti di avere la forza per un’impresa del genere. Io quanti anni avevo negli anni Settanta? avevo già passato i sessant’anni. Io lo ricordo il ’68: mi ricordo lo slancio giovanile che c’era nel Psiup, formidabile, un fatto meraviglioso. Però fu represso…

…Quello del Psiup fu un percorso veloce e incredibile… vorrei proprio ricostruirlo, se avessi gli strumenti per  farlo… Mi piacerebbe capire come è stato possibile che un partito nato per un obiettivo si trasformasse e diventasse strumento per un  obiettivo addirittura opposto (tu lo sai: nacque stalinista, “codista”, legato al partito comunista a doppia mandata: si giustificò il Psiup dicendo “Nenni vuole portare chissà dove il partito socialista, noi siamo invece unitari”); come è statopossibile che nascesse con questa durezza, se vuoi con questo alibi, e si trasformasse invece e subito, oserei dire, nel partito dell’anarchia socialista, quello della libertà…

C’era uno slancio libertario molto forte…

…molto forte; però il partito comunista menò duro…

foa 0053Sí, menò duro…

Tu ricorderai che quando il Psiup si sciolse, alle ultime elezioni alle quali partecipò, aveva ottenuto tanti voti da far “scattare”, credo, 18 deputati; ma in nessun collegio, si disse, era “scattato” un quoziente, quando tutti sapevano che in Sicilia era scattato. Perché, allora, il Pci si affannò a metterlo alle corde? accadde quando il Psiup da stalinista diventò libertario; il Pci si irrigidí, e il Psiup scomparve. Non è cosí?

Scelgo questa occasione, per essere sincero fino in fondo. Quello che dici è vero, però è anche vero che la repressione non venne solo dal vecchio gruppo: la repressione del ’68-’69, la repressione di questo movimento giovanile libertario che nasceva, è vero, nel nome del partito, dentro il partito, la repressione nelle sue forme piú brutali venne appunto da agenti comunisti, da gente che agiva per conto dei comunisti, però non solo da loro. Io ricordo un episodio in cui fui coinvolto io, nel ruolo di difensore dell’apparato, in quel ruolo esplicito. Voglio ricordarlo in termini autocritici, Nicola, perché penso che le cose bisogna ricordarle anche se poi “servono” ad altri…

…ma ci sapremo difendere…

Allora, segretario della federazione del Psiup di Torino era Ferraris, che aveva con sé 200 ragazzi, una folla, che giravano per lui e per il Psiup… mi ricordo, c’erano tutti i fondatori della futura Lotta continua, Guido Viale, Rostagno, Luigi Bobbio, tutti del gruppo Psiup di Torino, e poi si dispersero, andarono da un’altra parte… Allora, nel ’69, questo gruppo, molto attivo, molto forte, attaccò con violenza il sindacato, la Fiom e la Cgil, accusandolo di poltroneria, di non impegno, e quindi organicamente in qualche modo di tradimento degli interessi dei lavoratori. Io ero segretario della Cgil, e da Torino questa tendenza radicale veniva fuori con cosí grande forza che il Psiup l’aveva assunta in qualche modo, sia pure Pino Ferraris con cautela, ma l’aveva assunta. Allora io chiesi a Ferraris di fare una riunione di “attivo” a Torino con questi giovani e andai su con il segretario della Fiom, del Psiup, che era Elio Giovannini. Andammo a Torino noi due e quando arrivai là - c’erano 200 ragazzi, mi ricordo la sala pienissima, 200 ragazzi - io feci un intervento per spiegare loro che il sindacato è una cosa seria, che non dovevanofoa e cgil 1969 sbeffeggiarlo e annullarlo, che il futuro…, che bisogna vedere le cose in tempi piú lunghi, che etc.etc.; feci un’apologia del sindacato e poi feci una proposta formale che il Psiup cambiasse linea, quello locale, e che appoggiasse l’azione sindacale. Feci questo tentativo. Mi ricordo che Pino Ferraris non parlò, disse semplicemente: “Metto in votazione la proposta che fa Foa, chi l’approva alzi la mano”. Non si alzò una mano. “Chi la disapprova alzi la mano”, 200 mani si alzarono. E Pino disse: “La proposta è respinta”. Dopodiché sciogliemmo la riunione, Pino venne da me, piangendo, e mi disse: “Hai distrutto tutto”. E’ vero, avevo distrutto tutto, perché in questo conflitto che veniva, avevo distrutto tutto. Io ho detto: “Sì, ho distrutto tutto, ma dovevo farlo, dovevo farlo, perché dovevo salvare… la baracca”. Ho voluto raccontarti questo episodio, del tutto inedito, per dirti che in quel momento - in quel mondo che tu poco fa hai descritto con calore, e che, è vero, ad un certo punto anche io ho appoggiato - in quel momento sono stato realista. E riconoscerai che nel ’69, e poi via via, è stato il sindacato a fare la lotta; voglio dire, c’è stato poi un recupero, la lotta operaia è stata fatta dal sindacato.

Sí.

Allora vedi che è complicato, è complicatissimo. Però tu hai ragione nel dire che io sono reticente…

Non ho detto che sei reticente… sei sembrato a me reticente.

No, ma è cosí, è cosí. Perché anch’io ho vissuto episodi come questi. Io in quel momento ero dirigente sindacale, e agivo per conto del sindacato. Però mi è rimasto ugualmente questo elemento di contraddizione che dicevo: io li sentivo come miei amici, miei figli, ma dovevo fermarli. Dovevo fermarli perché pensavo seriamente che bisognava fermarli. E questi episodi qui spiegano anche poi la mia riluttanza a parlarne. Ho voluto raccontare questo episodio per spiegare… Perché tu mi hai giustamente chiesto: “ma tu non parli di questo?”; e hai ragione.

…ma io te l’ho chiesto…

e hai fatto bene, hai fatto benissimo…

...te l’ho chiesto, come bisogno mio, del tutto personale. Cosí potrei chiederti di oggi, quando, per esempio, possiamo anche metterci nel coro e dire: “Deo gratias, abbiamo il maggioritario, abbiamo le coal­­izioni, abbiamo i due poli, chi vince governa, chi perde sta all’opposizione, etc.” e quando, però, vediamo che non si è mai vissuto, nella nostra storia democratica, repubblicana, un momento di proporzionalismo cosí feroce.

foa 0038Per forza, è molto brutta la situazione, molto brutta…

…e nello stesso tempo, di consociativismo cosí feroce…

eh sí, è molto forte, anche perché è persino teorizzato. Io lo vedo molto nel Pds questo, nella direzione del Pds; lí è molto forte.

Per esempio, questa storia che D’Alema enfatizza il risultato della Bicamerale: tutto dobbiamo sacrificare sull’altare della Bicamerale, a te come ti pare?

Questa è una cosa inaccettabile. Però, tu vedi che ci sono delle cose che si muovono anche in modo diverso, perché i sindaci, nonostante tutto, sono una cosa diversa… O mi sbaglio? In qualche modo è gente che non risponde piú ai partiti, che non ha bisogno di chiedere ‘per favore…’. Questo Pds che interviene violentemente a Genova e per poco non consegna la città in mano alla Lega? un disastro; dove non interviene, i candidati vanno avanti. E ancora: questo governo [Prodi; ndr] - che pure ha tante cose sulle quali si potrebbe dissentire - è riuscito a creare per la prima volta un mito - un mito, intendiamoci, per me pericoloso come tutti i miti che si staccano dall’impegno -; che però per la prima volta è un mito pacifico, è un mito civile, è un mito in cui non c’è niente dentro, quello dell’Europa. L’Europa… gli italiani pagano tasse inverosimili, gli tagliano le pensioni, li tengono sotto e quelli: ‘in  cambio vi diamo l’Europa’. L’Europa non significa nulla, però è diventato un elemento mitologico. E di fronte a tutti i miti violenti, avventuristici, nazionalistici, fondamentalistici, per una volta tanto c’è un mito civile e tranquillo. Ciampi e Prodi ci hanno regalato questo mito; è molto pericoloso perché un mito non ha la partecipazione, e quindi quest’Europa nessuno sa che cos’è; però, è comunque almeno qualcosa di piú civile, Nicola, questo governo; c’è in esso qualcosa di accettabile.

Però, anche piú sottilmente pericoloso, perché questo mito che apparentemente, e giustamente tu dici, è pacifico, e comunque appare vuoto, appare indolore, tutto sommato…

ah, poi invece non lo è.

Non lo è per le conseguenze.

Abbiamo perso le alternative, però, eh.

Non è che anche tu, in qualche momento del tuo ragionamento, dimentichi che l’Europa si barrica, si chiude, e quindi questo mito non è tanto vuoto, questo mito è pesante invece; lo stanno ponendo in modo leggero…

In confronto con gli altri Paesi, ancora può andare. Sí, se tu confronti la situazione interna italiana, hai diseguaglianze interne molto gravi. Nel nord hai piena occupazione, nel sud hai una situazione di disoccupazione paurosa. Allora hai disegua­glianze sempre crescenti…

Ma non è uno scherzo il fatto che la disoccupazione sia al Sud.

Lo so, lo so. Nicola, ma abbiam perso le alternative. Che cosa vuol dire che abbiamo perso le alternative? Vuol dire che non siamo in condizione di proporre nulla. Allora, se non siamo in condizione di proporre nulla di diverso, se c’è per esempio di fronte la fine dell’inflazione, non c’è uno solo che dice ‘sarebbe meglio avere l’inflazione’, perché non può dirlo. Ecco, non lo possiamo dire; e stiamo zitti… Allora, siccome io sono un inguaribile ottimista, penso che ci sono dei momenti in cui si perde la parola, si perde la testa, e poi si ritrova, ecco, si ritrova; questo è sicuro.

Prodi e Ciampi forse non hanno inventato un mito; probabilmente la loro forza sta in tutte le energie che negli ultimifoa 0057 settant’anni il popolo di sinistra ha immagazzinato e impegnato per lo sforzo di far riuscire il primo governo con la sinistra. Il mito non è forse l’Europa, ma la sinistra al Governo?

Sí, e per il momento c’è bisogno, appunto, di stabilità. Alla stabilità tu sacrifichi molte cose, la diseguaglianza, punte di barbarie, quello che dici tu sull’immigrazione… quello che si è fatto ai clandestini, una barbarie senza pari. Ma io penso che la risposta verrà. Senti, Nicola, è molto difficile, per un uomo che si avvicina ai 90 anni…

Quanti anni hai, Vittorio?

Ne ho 87.

Bene. Sono pochi, per fortuna».

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La conversazione di Nicola Magrone con Vittorio Foa è apparsa sul n. 125-127 di SUDCRITICA di Giugno 1998 e ripubblicata on line nel 2011. Chi volesse ricevere la rivista non avrebbe che da chiederla a Popoli & Costituzioni fondazione onlus [ Questo indirizzo e-mail è protetto dallo spam bot. Abilita Javascript per vederlo. ] versando un contributo a suo piacimento per le spese sul ccpostale 34848416. Da oltre trent'anni, la Fondazione si regge così; il resto, è volontariato.

 

Ultimo aggiornamento Venerdì 24 Novembre 2017 18:44
 
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