=ECONOMIA ITALIANA. INTERVENGA LO STATO Stampa
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Scritto da Redazione   
Lunedì 31 Luglio 2017 00:00

neetIn Italia il sistema è malato,
solo la spesa pubblica può risanarlo


la povertà assoluta, i 62 miliardi in meno erogati alle imprese italiane, i fallimenti di 560 Comuni italiani (400 nel Sud) ed infine i giovani Neet non sono fatti slegati tra loro. Si tengono insieme perché insieme individuano sia la vistosa crepa teorica e pratica esistente nel nostro mondo - dominato, non soltanto in economia, dal laissez-faire - sia il possibile rimedio. Ostinati interessi di classe, fortunate carriere e posizioni di potere consolidate e ben radicate bloccano la possibilità che i rimedi siano operativi. 

 di  Mino Magrone
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Non sono più di quattro i fatti emersi in questi giorni che meritano una più attenta riflessione al fine di ricavare più generali considerazioni di ordine più teorico e sistematico. Non c’è dubbio che le statistiche e le notizie siano abbondanti, ciò che manca è la critica sociale della situazione data e l’approfondimento delle cause di tanto disagio sociale, politico ed economico che attraversa il nostro Paese.

 

In sintesi i quattro fatti sono: 1. la povertà assoluta di molti italiani (oltre cinque milioni) mostrata dagli studi pubblicati dall’ISTAT; 2. i 62 miliardi di euro in diminuzione, nel triennio 2014/2017, del credito erogato alle imprese italiane messo in evidenza dall’ufficio studi della Cgia di Mestre; 3. i Comuni italiani che in meno di cinque anni sono triplicati nel numero dei fallimenti (i dissesti sono stati ben 560 e 400 riguardano fallimenti di Comuni del Sud dell’Italia); 4. infine, il fatto che i giovani emergono alle cronache come una nuova categoria densa di significati sociologici e psicologici, del post-moderno. Sono i tantissimi giovani italiani compresi tra i15 e i 24 anni che riempiono la triste nuova categoria dei giovani Neet. La sigla sta per “Not in employment education or training”. Non studiano, non lavorano, non seguono un percorso di formazione. Nell’Unione europea siamo i primi a guidare la triste lista.

La sociologia già divide i giovani Neet in due parti. La parte dei Neet “esogeni” e la parte dei Neet “endogeni”. Attivi, sfortunati,diseguaglianze-Largo-Argentina-Roma-foto-Davide-Pisano precari, sfruttati ma comunque alla continua ricerca di un lavoro stabile gli esogeni. Rassegnati, delusi, neppure più alla ricerca del lavoro i Neet endogeni. È il sottoproletariato della nostra modernità o del post-moderno. Una post-modernità che si vanta di essere senza più distinzione tra destra e sinistra. Ma tuttavia con la forte e ingombrante presenza della povertà giovanile (oltre un milione), femminile (2.500.000 donne) infantile (1.300.000 bambini), operaia. Chi provvede ai Neet? L’ammortizzatore sociale sono, quando possono, le famiglie. Sennò si arrangino nel silenzio neppure tanto disagiato della civiltà dei buoni stipendi e del lavoro sicurissimo.
I quattro fatti appena ricordati - la povertà assoluta, i 62 miliardi in meno erogati alle imprese italiane, i fallimenti di 560 Comuni italiani (400 nel Sud) ed infine i giovani Neet - non sono slegati tra loro. Si tengono insieme perché insieme individuano sia la vistosa crepa teorica e pratica esistente nel nostro mondo dominato, non soltanto in economia, dal laissez-faire sia il possibile rimedio. Ostinati interessi di classe, fortunate carriere e posizioni di potere consolidate e ben radicate bloccano la possibilità che i rimedi emergano e soprattutto siano operativi. Sicché al vertice della piramide sociale dominano pochi ricchi e le classi sociali agiate, alla base si dà da fare tanta classe in tempi passati chiamata intermedia e gli operai che secondo l’Istat si trovano al gradino più basso tra coloro che ancora percepiscono un reddito.
I giovani Neet sono fuori gioco. Sono gli espulsi, il moderno sottoproletariato della civiltà post-moderna.
I quattro fatti individuano le cause, le crepe, le contraddizioni della nostra organizzazione di vita sociale. E insieme ne prospettano il rimedio.
introdu-o-macroeconomiaPiù di una volta ho richiamato l’attenzione del lettore sulla necessità di approfondire il significato e la dinamica interna dell’equazione che racchiude in sé il significato e l’importanza di una visione corretta del sistema economico e sociale. Che va visto non già dal punto di vista dei singoli soggetti o attori economici e sociali (microeconomia) ma dal punto di vista di aggregati economici e sociali molto più grandi (i consumi non del singolo consumatore ma dell’intera economa di un paese). Così per il risparmio, per gli investimenti, per il reddito che non sarà più del singolo soggetto ma nazionale, delle esportazioni ecc. La macroeconomia è racchiusa, per lo più, in questa equazione:
                                                                       R = C + I + Sp + (Esp – Imp)
Il reddito nazionale (che in sostanza è l’offerta totale del sistema economico nazionale) è uguale ai consumi più gli investimenti più la Spesa pubblica più le Esportazioni meno le importazioni. Gli addendi del secondo membro dell’equazione non sono altro che la domanda globale del sistema nazionale.

Ma se l’offerta totale (R) è uguale alla somma degli addendi del secondo membro dell’equazione (che è la domanda globale del jean-baptiste saysistema) vorrà dire che il sistema medesimo è in equilibrio. L’offerta totale è uguale alla domanda totale. La legge di Say (la legge degli sbocchi) è pienamente soddisfatta. Sono in molti, forse ancora la maggioranza, nel mondo della scienza, in quello politico, nel mondo industriale, finanziario e del commercio a pensare che, data la situazione di equilibrio del sistema, non è possibile che ci sia disoccupazione involontaria, povertà non voluta. I giovani Neet possono anche esistere ma subito sono destinati a essere assorbiti e adeguatamente sistemati nelle infinite possibilità del sistema.
Se R, l’offerta globale, è uguale alla domanda (come sosteneva J.B. Say) non è possibile che si verifichino crisi di sovraproduzione o di sottoconsumo. Però va pur cercata la causa, la ragione, la contraddizione che crea, come nel nostro Mezzogiorno italiano, una disoccupazione giovanile che raggiunge la clamorosa percentuale di oltre il 50%. Insomma, la crisi è sotto i nostri occhi e bisogna pur dare ascolto al Galileo di Brecht che è in ciascuno di noi e che dice ai suoi accusatori, “Signori, io vi scongiuro in tutta umiltà di credere ai vostri occhi”.
Ha cominciato a credere ai suoi occhi (ma poteva onestamente non farlo, vista la terribile crisi del 1929) nel 1936 J.M. Keynes il quale pubblicava un libro il cui titolo era “Teoria generale dell’occupazione, dell’interesse e della moneta”. Mentre molti economisti e uomini di governo avevano ormai perduto la speranza che la crescita mondiale tornasse, quel libro offriva una nuova analisi teorica e diagnosticava che il sistema era gravemente ammalato ma non senza possibilità di ripresa purché si fosse dato ascolto ai rimedi prospettati nel libro.
John Maynard Keynes era un critico dell’establishment che proveniva dalle file dell’establishment stesso. Le sue critiche poco ortodosse nel campo dell’economia e dei metodi di studio e di analisi universalmente accettati vennero giudicati come altrettante quote-the-difficulty-lies-not-so-much-in-developing-new-ideas-as-in-escaping-from-old-ones-john-maynard-keynes-15-71-55bestemmie contro la fede nel libero mercato e nel capitalismo in cui la classe dirigente credeva ciecamente. Oggi non è che le cose siano cambiate molto. Per lo più la classe dirigente dell’Unione europea, anche dell’Italia, ha ancora fede nel metodo dell’austerità e considera un eretico e un bestemmiatore chi vi si oppone.
Ma torniamo, per chiudere il discorso, sulla nostra equazione del cosiddetto equilibrio macroeconomico.
Se R, l’offerta totale, è uguale alla domanda totale (C + I + Sp + Esp - Imp), il sistema è in equilibrio e se c’è squilibrio è soltanto di brevissimo periodo ed è dovuto a crisi brevi di assestamento delle grandezze costituenti l’equazione. Affermiamo, invece, che l’equilibrio di piena occupazione è veramente un caso particolare e raro e che la regola del sistema è l’equilibrio di sottoccupazione. Quindi con disoccupazione di lavoratori, impianti sottoutilizzati e diffusa povertà. Si dà per certa l’uguaglianza tra il risparmio e l’investimento. Tanto è vero che nell’equazione non appare il risparmio visto che si ritiene il risparmio interamente investito senza residuo. Il risparmio nell’equazione è identico all’investimento. Per cui è interamente investito. Ma non è così in realtà. Intanto sono diversi i soggetti che risparmiano rispetto a quelli che investono. I due mercati, del risparmio e degli investimenti, sono disciplinati da moventi diversi. Il risparmio non è guidato soltanto e semplicemente dal saggio dell’interesse; è influenzato invece, in modo determinante dal livello non dell’interesse ma del reddito del risparmiatore. Più alto è il reddito e più cresce la propensione marginale al risparmio e diminuisce quella al consumo. I redditi bassi all’incontrario hanno una propensione marginale al risparmio molto bassa o quasi nulla e al consumo molto alta. Il poco reddito viene quasi tutto e immediatamente consumato. Ancora, una parte del risparmio non scorre senza freni verso l’investimento, perché, se l’investitore prevede un basso rendimento dell’investimento anche a tasso d’interesse pari a zero o prossimo a zero o, addirittura, negativo, non domanderà risparmio sicché le somme risparmiate resteranno non investite. Inoltre, il risparmiatore ha altre esigenze per cui il risparmio finisce verso il “tesoreggiamento” e la preferenza per la liquidità. Si preferisce in forma liquida per la sua immediata utilizzabilità o per motivi precauzionali o speculativi. Insomma il risparmio non è eguale all’investimento.

Per le ragioni succintamente dette, il risparmio per sua intrinseca struttura e dinamica è sempre superiore all’investimento                                                 

Rs > I  

Se le cose stanno così, che cosa avviene nella dinamica della nostra equazione?
Avviene che una parte del risparmio (che è reddito prodotto e non consumato), la parte eccedente l’investimento, non concorre a formare la domanda globale necessaria ad assorbire l’offerta globale rappresentata, come già si è detto, dal reddito R (che rappresenta il primo membro dell’equazione).
Con un esempio di statica comparata il ragionamento diventa più comprensibile. Si parte dalla situazione di equilibrio (anch’esso di sottoccupazione) così immaginato:

 

R =

C +

I +

Sp+

(Esp - Imp)

 

100=

50 +

30 +

15 +

(10 - 5)

 

Se la parte non investita del risparmio dovesse subire un aumento supponiamo di 10, l’investimento diminuirà di 10. Per cui il nuovo equilibrio di sottoccupazione sarà:
                                                       90 = 50 + 20 +15 + (10 - 5)
Come si vede il reddito nazionale è diminuito (è diminuita l’offerta globale di 10) ed è diminuita anche la domanda globale. Il sistema ha raggiunto un nuovo equilibrio ma con più alti livelli di disoccupazione, bassi investimenti e situazioni di povertà più accentuate.
L’esempio è stato definito di statica comparata perché si sono messe a raffronto due situazioni di equilibrio (statico). La prima con reddito 100 e la seconda con reddito 90. I due momenti possiamo immaginarli in quiete, statici. La dinamica si svolge nel corso della discesa del reddito da 100 a 90. È in quel tragitto (dinamico) che la disoccupazione è in crescita, i giovani Neet, esogeni ed endogeni e i bambini poveri non hanno neppure da mangiare adeguatamente e le istituzioni comunali soffrono (se sono oneste) la triste esperienza della loro totale impotenza.
A questo punto è possibile chiedersi come procedere per spingere il sistema verso la piena occupazione? Visto chepiena-occupazione strutturalmente è in equilibrio di sottoccupazione?
È noto il paradosso keynesiano che spiega la necessità, nei periodi di crisi (con investimenti scarsi, disoccupazione e reddito calanti), di impiegare i lavoratori per “fare le buche e ricoprirle”. Fuori dal paradosso, è necessario che lo Stato e le altre istituzioni pubbliche territoriali allarghino la spesa pubblica, facciano investimenti per spingere in su il reddito nazionale e avviarlo verso il risanamento e, possibilmente, verso l’equilibrio di piena occupazione. Durante la crisi i privati non investono più. È lo Stato chiamato in causa. Chiamato a supplire e provvedere. Lo Stato e gli enti territoriali possono trovare le risorse finanziarie necessarie all’allargamento della spesa pubblica attraverso l’introduzione di una politica monetaria espansiva (sulla falsariga di ciò che, più o meno, stanno facendo Draghi e la Bce con il Quantitative Easing).
Per concludere è necessario ritornare ai quattro fatti dai quali si è iniziato il discorso: la povertà, i 62 miliardi in meno di investimenti, i comuni che falliscono, i giovani Neet. Questi fatti spiacevoli e dolorosi possono scomparire mano a mano che il sistema si avvicina all’equilibrio di piena occupazione.
In linea teorica tutto ciò è possibile. In pratica è più difficile e complicato, ma non è assolutamente impossibile. La sottoccupazione non è qualcosa che si para innanzi a noi come un’invalicabile muro di pietra. Non è immodificabile dal nostro pensiero e dalla nostra azione, come lo è invece la rotazione del nostro pianeta intorno al proprio asse. Realismo certamente. Tenendo presente però che molta parte del nostro mondo sociale è modificabile dal pensiero e dall’azione umana. Così come sono modificabili alcune categorie di verità, schemi mentali, istituzioni sociali, economiche e politiche quando subiscono l’azione corrosiva della decostruzione.

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Ultimo aggiornamento Lunedì 31 Luglio 2017 09:29
 
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