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Scritto da Redazione   
Venerdì 22 Novembre 2013 23:20

disoccupazione 

“la comunità deve risvegliare i propri anticorpi alla crisi, recuperando anche dal passato comportamenti e valori che uniscono nella solidarietà civica”

 

di   Giorgio Tarquini

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Con l’aumento massiccio della disoccupazione la povertà si sta diffondendo nel nostro paese e nel Mezzogiorno tale fenomeno è ancor più presente e devastante. I dati *, su cui convergono sostanzialmente tutti gli enti di ricerca parlano chiaro: nel 2012 il tasso di disoccupazione fatto registrare nelle regioni meridionali è stato del 17,2%  (a fronte dell’8,0% nel Centro-Nord),  valore che però - al sud - tende  a salire fino al 28,4% (quasi al 12% nella ripartizione centro-settentrionale) se si considerano in tale aggregato anche i disoccupati impliciti, quelli cioè che il lavoro non lo cercano nemmeno più. In Puglia tali valori sono rispettivamente  del 15,7% per la disoccupazione ufficiale e del 26,3% per quella effettiva.

 Ma sono anche altri i numeri, focalizzando ancora l’attenzione sulla Puglia, sui quali occorre soffermarsi per cercare di capire il reale,povert drammatico, momento che stiamo vivendo. L’1,4% delle famiglie pugliesi ha percepito nel corso del 2012 meno di 6 mila euro/anno (500 euro mensili sono oggettivamente pochi!); il 7,9% (e stiamo parlando di circa 123.000 famiglie) ha avuto redditi inferiori ai 12 mila euro/anno. Quasi 438.000 famiglie pugliesi (il 28,2% del totale), vive in una situazione di povertà relativa, mentre una quota ancor più elevata, il 42,3%, vale a dire 658.000 nuclei famigliari residenti in Puglia, risulta monoreddito, ancor più esposti, pertanto, ad eventuali difficoltà in caso di perdita di tale unico cespite. Cifre preoccupanti di autentico allarme sociale, di sterminato malessere individuale,  perché di questo si tratta. Trasponendo alcuni dei valori sopra citati alla realtà di Modugno - esercizio dalla scarsa attendibilità metodologica ma finalizzato solo a rendere più efficace e comprensibile  il dato statistico - risulterebbe che le famiglie in situazione di povertà ammonterebbero a circa 4.000 su un totale comunale di poco superiore alle 14.000 famiglie residenti, con un impatto complessivo preoccupante; ipotizzando, infatti, un nucleo famigliare medio composto da circa 3 componenti (2,67 per la precisione), risulterebbe che quasi 1/4 degli abitanti del nostro paese starebbe in una situazione economica  critica!

La realtà, pur sinteticamente tratteggiata con alcune delle rilevazioni statistiche disponibili, rimanda al nocciolo dei problemi che la crisi ha generato e che la politica nazionale e comunitaria non ha saputo affrontare, quello del lavoro: di tutto quello che in termini di vita vissuta, di vita reale esso rappresenta e di tutto ciò che ad esso è collegato.

omTu puoi fare qualunque cosa, tranne licenziare qualcuno per motivo dei nuovi metodi, perché la disoccupazione involontaria è il male più terribile che affligge la classe operaia”, così  Camillo Olivetti si rivolgeva al figlio Adriano, di ritorno dagli Stati Uniti dove aveva studiato nuovi metodi produttivi. In tempi di delocalizzazione selvaggia, di chiusura di stabilimenti sani solo perché il profitto conseguito non è stato il doppio di quello dell’anno precedente, le parole di Olivetti fanno quasi tenerezza, sembrano favole, anzi fantasy come si dice oggi nell’italiano low cost che siamo arrivati a parlare.

Si sta male e si muore sia di lavoro (precariato, flessibilità esasperata, occupazioni atipiche, terzizzazione, ilva, amianto, ecc…) sia di mancanza di esso: la disoccupazione intacca la dignità dell’uomo, fino a comprometterne l’equilibrio psico-fisico, e se prolungata nel tempo porta alla disperazione  talvolta fino alle estreme conseguenze.

Non è un caso che la Costituzione ha dedicato al lavoro grande attenzione ponendolo a fondamento della nostra repubblica democratica (art.1), identificandolo come diritto e responsabilità (art.4), garantendone la giusta retribuzione per una “esistenza libera e dignitosa” (art.36), anticipando di fatto il reddito di cittadinanza (art. 38), indicando come limite all’iniziativa privata la dignità, la sicurezza e la libertà dei lavoratori (art. 41). L’indissolubile nesso tra lavoro e democrazia che pervade la nostra Costituzione ha consentito e accompagnato la nascita dello stato sociale (welfare state) nel nostro paese. Ora tutto ciò sembra appartenere al passato. Di quel modello di stato sociale  consolidatosi nel  trentennio successivo alla fine del secondo conflitto mondiale è rimasto ben poco, il suo smantellamento iniziato negli anni Ottanta con l’affermazione, anche in Europa, della dottrina neoliberista, è tuttora in corso. Quando gli economisti, le banche centrali, la  troika (Commissione Europea, Bce e Fmi), i leader politici,  intravedono la fine della recessione,  e straparlano già dei successi conseguiti con il rigore e l’ austerità a tutti i costi, dimenticano tutte quelle fasce di popolazione - italiana ed europea - sempre più numerose, che faticano a mettere insieme il pranzo e la cena. Dando per scontato che la direzione di marcia intrapresa, purtroppo per noi tutti, non è quella giusta - solo dall’aumento dell’occupazione, agendo sul lavoro, può riattivarsi un processo di crescita del sistema in tutte le sue componenti, non certamente abrogando la rata dell’Imu - si pone come inderogabile la necessità di dare risposte concrete alla domanda di assistenza e di aiuto, che riviene dalle tante persone in difficoltà.

Dove non possono arrivare gli ammortizzatori sociali, dove non può arrivare la famiglia, a soddisfare tale domanda, o il comune (imbrigliatovan-gogh-notte-stellata-sul-rodano-sml dai vincoli della legge sul patto di stabilità oppure impelagato nella burocrazia regionale), può e deve arrivare la comunità. La società deve attrezzarsi per far fronte ai nuovi drammi, ai nuovi dolori, alle nuove carestie: la comunità deve risvegliare i propri anticorpi alla crisi, recuperando anche dal passato comportamenti e valori che uniscono nella solidarietà civica, che cementano nella mutualità, nel mutuo soccorso di vicinato, di quartiere. La strumentazione è indifferente, purché efficace: mercati del baratto, collette alimentari, accordi con la grande distribuzione organizzata per il recupero dei prodotti invenduti, con i ristoratori per la raccolta del cibo altrimenti gettato, distribuzione di pasti, banca delle ore per assistenza domiciliare, raccolta di libri usati per gli studenti bisognosi, di abiti usati, momenti dedicati al riuso dove chiunque può portare oggetti di cui vuole liberarsi per cederli a chi ne ha bisogno… non c’è limite al meglio di una speranza collettiva condivisa.

 

* Dati statistici tratti dal Rapporto Svimez 2013 sull’Economia del Mezzogiorno, e per quelli comunali dall’IPRES - Puglia in cifre 2012.

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Ultimo aggiornamento Sabato 23 Novembre 2013 00:36
 
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