=INTERVISTA A NICOLA MAGRONE IN DIFESA DELLA COSTITUZIONE= Stampa
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Scritto da Redazione   
Domenica 09 Dicembre 2012 17:30

 

nicola_magrone

 

intervista di Monica Vignale
a
Nicola Magrone sulla necessità, ora piu' che mai,
della difesa e dell'attuazione della Carta
costituzionale.

L'intervista è tratta da
www.primonumero.it

 

 

 

 

 

 

Stanno facendo a pezzi la democrazia.

 
E' nella Costituzione
la vera rivoluzione che si deve fare   

 

Parola di Nicola Magrone, magistrato innamorato della Carta del ’48 che nell’Italia attuale rischia di diventare un cimelio da rispolverare solo nelle cerimonie. In questa intervista Magrone, impegnato da trent’anni in difesa dei principi costituzionali, spiega lo smantellamento della democrazia in atto in maniera silenziosa, e non si sottrae agli esempi concreti: dal principio di non colpevolezza, impossibile con una giustizia ingiusta, al finanziamento ai partiti ("Una violazione e una forzatura della Costituzione") fino alla limitazione della sovranità popolare. "La nostra costituzione esorta alla mobilitazione, contemplarla da lontano è quanto di più lontano dal suo spirito esista".

di Monica Vignale

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Dopo una vita intera da magistrato, nei panni dell’accusatore suo malgrado, ha deciso di reiscriversi all’Ordine degli Avvocati. Ma Nicola Magrone, per otto anni circa al vertice della Procura della Repubblica di Larino (tra le sue inchieste Black Hole, i fondi per il terremoto, il crollo della scuola elementare di San Giuliano di Puglia…), non è un avvocato di bocca buona. Seleziona le cause da seguire in maniera rigorosa e con un criterio tutto suo, fedele a quella scelta di “uomo libero” che ha sempre rivendicato, dentro e fuori le griglie dei protocolli: «Difendo persone coinvolte in vicende che per varie ragioni mi stanno a cuore: violenza su ragazze, vittime di stalking anche in ambienti insospettabili, reati ambientali come l’inquinamento da amianto nella ex cementeria di Modugno». «Sono tornato alle origini – avverte – giacché ero avvocato prima di entrare in magistratura».

Ma la più grande battaglia del magistrato di Modugno è un’altra, come anche i molisani hanno avuto modo di capire ascoltando le sue appassionanti arringhe in difesa dei principi fondanti della democrazia italiana: la salvaguardia della Carta Costituzionale. Una cosa che gli fa girare l’Italia, e se necessario – precisa - «mi vede pure al fianco di politici: non importa dove e come, basta che io sia libero dal contesto e possa parlare senza diplomatiche prudenze».
Di cosa? Della Costituzione, proprio quella. «Che esiste, è viva più che mai, non è una bandiera da rispolverare nelle grandi occasioni né un reperto archeologico da ammirare. Il rischio, e lo vediamo, è appunto che sia contemplata a debita distanza e non praticata». Un rischio concreto, imminente? «Peggio, un processo in atto: lo smantellamento è iniziato, e da tempo».

E’ uno dei massimi esperti a livello nazionale degli articoli della Costituzione, trattati anche in alcune pubblicazioni della casa editrice fondata con un gruppo di amici “Popoli e Costituzioni” che hanno fatto il giro del Paese. In curriculum un mandato da deputato eletto con l’associazione Italia Giusta secondo la Costituzione. La Costituzione, attorno alla quale oggi il dibattito è acceso, è il programma politico del movimento.

Invece di godersi la pensione s’è messo a girare dappertutto parlando di Costituzione. La vediamo nelle scuole, nelle piazze, nei convegni. Che succede, il periodo giustifica un impegno più massiccio del solito?

«Non faccio questo da oggi. E’ un impegno volontaristico assunto e praticato anche nei lunghi anni di magistratura. Ora il nodo è arrivato al pettine, diciamo così: siamo allo sbocco di un percorso storico che comincia da subito dopo la caduta del fascismo e arriva fino a oggi, alla soglia della cosiddetta Terza Repubblica».

E qual è il nodo, dottor Magrone?
«Questo: decidere se la Costituzione l’abbiamo accettata davvero o se invece la diamo per contemplata e ignorata, come un bellissimo vestito che non puoi portare al mercato, lo tieni nell’armadio e lo tiri fuori ogni tanto, quando c’è una cerimonia. Oggi la Costituzione è diventata un reperto da chiudere in una custodia come un gioiello che va ammirato per un attimo e subito dimenticato.
Nulla di più lontano dal suo spirito e finanche dalla sua lettera: la nostra Costituzione è la rivoluzione che non siamo riusciti a fare, attuandola. Diciamolo pure: chi la prende sul serio?»

 

Apparentemente tutti. In cosa, secondo lei, viene ignorata?
«In tutto. Di esempi se ne possono fare a bizzeffe. Il più semplice: il principio di non colpevolezza. Lo declamano tutti, a parole. Io sono straconvinto che si tratta di un principio di altissima civiltà, per questo tra i più rivoluzionari. La tentazione è ormai sempre più quella della vendetta e del giudizio sommario; non avverte sempre più spesso anche lei, nella società, un segreto ma diffuso bisogno di pena di morte, subito decisa, subito eseguita?».

E’ vero che lo stato d’animo generale è esasperato. Ma in fondo l’innocenza fino a prova contraria è un principio che tuteliamo. Dov’è che viene calpestato?
«L’aspetto più macroscopico della questione sta nel fatto che i nostri processi sono lunghi, direi eterni; che cosa fa una persona per tutti gli anni necessari a giudicarlo? Non si può fare giustizia in dieci o quindici anni . Ci pensi, siamo al punto che, qui in Molise, ci diciamo: ti ricordi di Black Hole, come se parlassimo di Piazza Fontana? La giustizia in tempi ingiusti è una contraddizione in termini».

Dunque i politici indagati fanno bene a non dimettersi, e a ricandidarsi, nella prospettiva di processi interminabili?
«Intanto, non so che cosa lei intenda con la parola “politici”. Immagino che lei pensi, e comunque io penso, che il politico farebbe bene a non pretendere per sé una sorta di superiorità antropologica rispetto ai cittadini che vivono o muoiono di lavoro e che non hanno alcuna delega a rappresentarne altri nei mille livelli nei quali si articola lo Stato. Anzi: penso che il cosiddetto politico deve convincersi del fatto che il momento nel quale egli si fa rappresentante della società, assume il dovere di dar conto, appunto, alla società di ogni suo atto, gesto, azione od omissione, ci sia o no un pubblico ministero ad inseguirlo. Chieda, insista, pretenda, operi, collabori - se inciampa in una vicenda giudiziaria - perché il giudizio su di lui sia rapido sul piano istituzionale, immediato su quello politico e morale. Insomma, si metta da parte quanto serve e spieghi tutto alla comunità che lo ha delegato a rappresentarla. Il problema è che la macchina giudiziaria non agisce in tempi giusti e ragionevoli, e questo dà spesso al “politico” la veste del martire. Di qui, la tentazione della scorciatoia: basta essere oggetto di indagini per venir ritenuti banditi. Questa “via breve” desertifica la democrazia e la riduce senza regole e senza guida».

Cosa intende esattamente per desertificazione della democrazia?
«Che le regole vengono smantellate, piegate a uso e consumo di ciascuno a seconda della convenienza, stravolte. Prendiamo il finanziamento pubblico ai partiti, argomento che oggi è tornato a scandalizzare tutti, gli stessi politici che sfrontatamente invocano maggiore vigilanza. Se avessimo un minimo di sensibilità per le norme della Costituzione sapremmo la netta differenza che esiste tra distribuire una pioggia di denaro ai partiti dicendo loro ‘gestitevela voi’ e quello che la Costituzione dice invece che vada fatto, cioè la promozione dei partiti, delle associazioni e dei movimenti. Promuovere non significa finanziare, pagare, ma rimuovere gli ostacoli perché una certa attività ritenuta importante socialmente possa essere fatta. Dunque, agevolazioni fiscali, riduzioni di spese per servizi pubblici, come si fa, per intenderci, con le cooperative, con le onlus, col volontariato in genere. Che c’entra il finanziamento con tutto ciò?»

A proposito di partiti. Gustavo Zagrebelski, invocando, proprio come lei, un partito che faccia della Costituzione il suo programma, elenca i criteri di questo partito: uguaglianza, libertà, diritti civili senza veti confessionali o ideologici, e partiti organizzati democraticamente. Ma cosa c’è di più democratico delle elezioni primarie contro cui lei, invece, si è recentemente scagliato?
«Le primarie sono solo uno slogan, perché la partecipazione democratica degli iscritti alla scelta dei candidati a tutti i livelli dev’essere la regola del regime interno di ciascun partito; una regola che la Costituzione impone; il che significa che ogni decisione va presa con un voto degli iscritti. Le primarie italiane, se ci riferiamo alle primarie del centrosinistra, le uniche che abbiamo viste, hanno un limite e una connotazione che le svilisce e forse le vanifica: chiunque (da sinistra a destra) può partecipare inquinando il risultato. Nelle primarie del centrosinistra appena concluse non c’è stato un vistoso tifo del centrodestra per Renzi, atteggiamento sotto molti aspetti francamente odioso perché strumentale? Ma al di là di questo, c’è una domanda fondamentale da farsi: le primarie a che cosa servono in realtà?»
 

 

Domanda retorica: a scegliere il candidato presidente del consiglio.
«E non è una cosa da poco dal momento che il nostro sistema costituzionale prevede che il presidente della Repubblica, ad elezioni e consultazioni avvenute, si guardi intorno e scelga la persona che a suo giudizio ha più possibilità di ottenere il consenso del Parlamento. In Italia, ormai dal 2001, all’esito delle elezioni, il Presidente della Repubblica dà l’incarico al candidato presidente che ha vinto le elezioni: lo fa automaticamente come se adempiesse ad un suo dovere che non esiste. Insomma, da allora, il nostro sistema da parlamentare è diventato presidenziale. Le pare poco?».

Questa cosa lei la disse anche nel 2001, quando sulla scheda elettorale furono scritti per la prima volta i nomi dei candidati premier: Berlusconi da una parte e Rutelli dall’altra.
« Dissi allora al presidente di seggio che la scheda consegnatami era anomala e la restituii. Feci mettere a verbale la mia protesta, ne parlarono tutti i giornali ma nessuno intervenne. Vidi, nella situazione, una sorta di colpo di Stato mascherato da burocratica modifica del contenuto della scheda elettorale: vi apparve per la prima volta l’indicazione dei candidati alla presidenza del consiglio (come lei precisa: Berlusconi e Rutelli). E’ questo che contesto: aver consentito e anzi aver fatto di tutto per modificare artificiosamente il dettato costituzionale, togliendo al presidente della Repubblica (il quale per la verità se ne spogliò ben volentieri) un potere che gli spettava e che gli spetta; insomma, il passaggio per via “tipografica” dalla democrazia parlamentare a quella semipresidenziale».

Non le sembra eccessiva questa posizione? In fondo se ha scelto il popolo… Non è quello cui bisognerebbe tendere? L’attuale legge elettorale è nel mirino proprio perché taglia fuori l’elettore, la volontà popolare.
«La Costituzione del ’48 è talmente illuminata che si fonda su un principio davvero rivoluzionario: nessun potere può ritenersi assoluto, nemmeno la sovranità popolare. Certo, l’investitura diretta da parte del popolo alletta sempre quanti hanno vocazioni autoritarie; “sono stato eletto dal popolo, dunque rispondo solo al popolo”: non è questo il ritornello che ci siamo sentiti ripetere negli ultimi vent’anni da Berlusconi e, sulla sua scia, non solo da lui? La nostra Costituzione, invece, non tollera poteri incontrollati, qualunque ne sia la fonte. Anche al pubblico ministero, ricorderà, è stato giustamente tolto il potere di cattura nei confronti del cittadino; c’è il giudice per le indagini preliminari a controllarlo, e il giudice ha il suo controllore: il Tribunale del riesame. E così via ».

Ma perché amputare anche la sovranità popolare?
«La nostra Costituzione è nata con le ferite profonde lasciate nel Paese da Mussolini, Hitler, dall’integralismo, dal razzismo, dal plebiscitarismo. A Piazza Venezia un oceano di persone osannò Mussolini che annunciava la dichiarazione di guerra. Ci pensiamo poco: non le fa paura un popolo ridotto così? A me sì, molto. Io preferisco un sistema di poteri nel quale ciascun potere limita e controlla gli altri».

Però lo scenario è cambiato, oggi non ci sono né Mussolini né Hitler.
«Mussolini non fece nulla che oggi non si possa replicare. Anzi, cominciò facendo quello che si sta facendo anche oggi, che s’è già fatto. Modificò la legge elettorale, diede il premio di maggioranza, che peraltro era bassissimo rispetto ai premi che si danno oggi, e mise il Parlamento in divisa. Lei sarebbe capace di individuare in Parlamento, oggi, qual è il deputato che la rappresenta? Una sterminata palude anonima».

Insisto con le obiezioni: la Costituzione non dà specifiche indicazioni sulla legge elettorale. Il Parlamento è teoricamente libero di decidere di orientarsi per il bipolarismo, non crede?
«Intanto, il bipolarismo non lo si costruisce per decreti; è in quanto la società si “bipopolarizza”, e non è il caso dell’Italia, come sa. In secondo luogo, la Costituzione ha tra i suoi principi fondanti la tutela delle minoranze, sociali e politiche. Se non piace, questa testardaggine della Costituzione, la modifichino nelle forme e nei limiti che la stessa Costituzione impone; e non ricorrano a sotterfugi».

Colpa del centrodestra di Berlusconi, questo processo di modifica sotterraneo?
«Macché. E’ squisitamente bipartisan, voluto a destra e a sinistra. Berlusconi poteva essere fermato nel ’94, non per incompatibilità ma per ineleggibilità per via della sua proprietà di concessioni televisive. Oggi abbiamo prove su prove che ci fu un accordo preciso tra gli allora Pds e lo stesso Berlusconi. L’ineleggibilità prevista dalla Costituzione non fu eccepita. La sinistra non può pensare di non dovere mai dare conto delle sue azioni e connivenze. Anche io mi ritengo genericamente di sinistra e tuttavia dico alla sinistra: voi, pur potendolo, non avete fermato Berlusconi e avete favorito, appunto, la deriva plebiscitaria. Di questo tipo di “affinità elettive” è costellata la storia degli ultimi vent’anni. Anche in Molise».

Una parentesi, a proposito di essere di sinistra. Lei è stato vicino a Massimo Romano, nei mesi scorsi. Per quali ragioni?
«Costruire Democrazia e lo stesso consigliere regionale Romano (e prima di loro una serie di soggetti politici e culturali del Molise, dalla Cgil, ai Lions, a scuole di ogni tipo) mi hanno chiesto di portare queste tematiche di cui sto parlando con lei in alcuni convegni o incontri. L’ho fatto perché credo che questa sia un impegno civico al quale non posso e non voglio sottrarmi».

Però questi convegni hanno avuto un pesante risvolto politico.
«E’ vero. Soprattutto quelli tra la sentenza del Tar e la decisione del Consiglio di Stato sul rinnovo delle elezioni regionali. Ho visto anch’io che la mia presenza in Molise fu letta anche in chiave politica; Romano fa politica, penso fosse scontata e inevitabile una lettura di questo tipo. Devo aggiungere che in quel periodo ebbi modo di constatare una particolarissima reattività, per così dire, del ceto politico nei miei confronti. Alcuni temettero e dissero, con linguaggio padronale, che speravano che io non andassi in cerca di “un posto al sole” manco si trattasse di un pullman e il Molise fosse “cosa loro”; altri mi segnalarono una certa “diffidenza dei politici di professione e degli addetti ai lavori” rispetto alla mia presenza. Pensai e replicai che avevano mille ragioni per diffidare e che il loro timore era fondato: mica potevano pensare di cooptarmi da qualche parte o di collocarmi in una fila di postulanti. Ho visto politici di professione peggiori, però: quelli che non insinuano ma passano alle vie di fatto. Qualche giorno fa ho raccontato queste piccole avventure sociali prima che politiche a cinquecento studenti delle scuole di Brindisi ».

Era in ballo una sua candidatura, così è sembrato.
«Sì.

Ho letto anche questo».

Ma quella ipotesi è sfumata? E perché?
«Forse era nelle intenzioni di alcuni e forse il monito dei “politici di professione” li ha distolti. Nell’estate scorsa, un suo collega giornalista televisivo mi chiese se avessi intenzione di candidarmi; gli risposi amichevolmente che non ero eleggibile perché se l’avessi fatto e fossi stato eletto mi sarei accontentato che le spese della Regione per me si limitassero ad una stanza in un agriturismo per dormirci e di una cena, possibilmente quotidiana. Praticamente, una dichiarazione di guerra ai notabili in auto blu che impazzano in Molise e non solo».

Tra i politici molisani c’è qualcuno che salva?
«Non è una questione di persone, e d’altra parte non ho rapporti personali con nessun politico del Molise. Alcuni di loro li conosco come indagati, per essermene dovuto occupare a Larino. Per me Iorio, Vitagliano e gli altri sono nomi che ho letto sui giornali. A Frattura, per esempio, che conosco di vista, riconosco il merito di aver posto il problema della regolarità delle scorse votazioni; un’ottima iniziativa perché la democrazia sta nel rispetto delle regole, se no è un imbroglio. Lo stesso rigore, immagino egli applichi in ogni altro caso per esempio a proposito del drammatico problema del conflitto di interessi. In generale, posso dire che dal mio punto di vista di procuratore di Larino (fin quando lo sono stato) il ceto politico del Molise mi è parso alle prese con problemi di clientele più che con i problemi di tutti. Ma posso sbagliare, naturalmente».

Ma se alla fine si ripresentano gli stessi, uno che cerca il cambiamento che dovrebbe fare?
«Non votarli, se crede».

Un’astensione? Ma così non si fa il loro gioco?
«Lei ha ragione. Osservo che, ragionando così, anche lo sciopero dei lavoratori molte volte è un favore all’azienda che risparmia il salario (quando non fa di peggio ingaggiando precari o occasionali). Ma con lo sciopero, quando ci vuole, i lavoratori si uniscono ai lavoratori; un percorso da incoraggiare, sempre. ».

Tanto anche con cento voti il governo lo fanno uguale.
«Sì, lei pone il problema del “meno peggio”. E’ un esercizio che io non sono disposto a praticare anche perché molto spesso è difficile individuare il meno peggio».

In queste sue argomentazioni sembra anche insita la volontà di azzerare le differenze ideologiche, o perfino di superarle nella convinzione che differenze di questo genere non esistono più. Non le pare la stessa posizione assunta da Grillo nel suo tentativo di dire che “tanto sono tutti uguali”?
«Il contrario. Oggi di ideologico resta solo la Costituzione. Lì ci trova segnali di socialismo, di cristianesimo, di liberalismo; li trova lì, in una sintesi che oggi solo uno spregiudicato temerario oserebbe tentare di superare. Grillo, certo, non mi pare si ponga il problema».

Sempre a proposito di Grillo: dire che fanno tutti schifo non è l’anticamera del totalitarismo?
«No. Se fanno tutti schifo, l’antidoto alla deriva totalitaria è nella popolazione democraticamente matura. Insomma, mai più osanna alle dichiarazioni di guerra di un pazzo».

Per esempio?
«La proposta di ridurre il numero dei parlamentari. Anche Grillo ne fa un punto fondamentale del suo programma. Non sono d’accordo. Dove sta scritto che un deputato non possa vivere con due o tremila euro al mese? Perché non si riducono le indennità e i privilegi di questa gente che dovrebbe essere al servizio della Nazione, sempre per citare la Costituzione, invece di tagliare la rappresentanza democratica? Una piccola regione come il Molise chi la rappresenterebbe?»

Questo lei lo dice anche perché convinto che il sistema maggioritario uccida la democrazia?
«Ne ho le prove, come tutti d’altronde. La nostra a Costituzione è stata calpestata e maciullata soprattutto nelle regole della democrazia. Per stare dentro una coalizione e farsi trascinare in Parlamento i partiti devono sospendere la loro identità, negarla. Pensi a quei partiti che sono scomparsi, come Rifondazione Comunista o i Verdi, tra gli altri».

Ma sono scomparsi dal Parlamento perché non hanno preso abbastanza voti, no? Una scelta degli elettori.
«Ne hanno presi pochi per questo barbaro sistema elettorale, che dà ai grandi e toglie ai piccoli; e questo li ha ridotti, Di Pietro compreso, al rango di scodinzolanti postulanti. Con il proporzionale anche Rifondazione, per stare all’esempio, avrebbe avuto il diritto di tribuna. Il “diritto di tribuna” va riconosciuto a tutti i partiti che raggiungano un quorum ragionevole. La rivoluzionaria francese Olympe De Gouges, ribellandosi al rivoluzionario Robespierre gli gridò che le donne “se hanno il diritto di andare al patibolo, devono avere anche il diritto di salire alla tribuna ».

Si è sempre detto che il maggioritario serve alla governabilità, alla stabilità del Paese…
«Si, si dice. La semplificazione non è servita però né a limitare le ruberie, il magna-magna della politica come si dice adesso, né alla stabilità dei governi. I problemi sono rimasti gli stessi e si sono riproposti, peggiorati. E’ imparagonabile la corruzione dei partiti che rubavano col finanziamento illecito durante la prima Repubblica con le ruberie per se stessi della seconda Repubblica. Il governo Berlusconi ha avuto una maggioranza spaventosa eppure è andato in frantumi. Come le legislature di Prodi, anche quelle fatte nella prospettiva di garantire la stabilità, sono esplose dall’interno, perché i conflitti della società non li cancelli con un colpo di penna».

Lei dà l’impressione di essere maniacalmente ossessionato dalle origini delle nostra repubblica democratica. Viene il sospetto che viva come uno spauracchio, un incubo, la svolta del colpo di mano autoritario. Non le sembra una ipotesi inverosimile?
«No, per niente. L’Italia democratica è nata così, la Carta Costituzionale è lei pure ossessionata dal rischio autoritario e appronta i suoi rimedi. E tuttavia, posso ricordarle Licio Gelli, il governo Tambroni, la legge Scelba, le stragi, la mafia, le Brigate Rosse e le leggi Cossiga, posso ricordarle Aldo Moro e la sua condanna a morte, Giovanni Falcone e Paolo Borsellino? Come ci si difende da tutto questo, giocando forse a cambiare la Costituzione per mano di veri e propri avventurieri e a sguarnire il Paese della sua identità? Come ci si difende dalle velleità militari, esportando la democrazia assistiti da cacciabombardieri? Io penso che poco ci si va preoccupando di tutto questo».

Il massacro della Costituzione secondo lei è reversibile?
«Credo e spero di sì. Noi di Italia giusta secondo Costituzione e la rivista Sudcritica questa problematica la poniamo da oltre trent’anni. Durante il terrorismo contrastammo la repressione indiscriminata di ogni dissenso con uno slogan impegnativo che diceva: “non si combatte il terrorismo abolendo la democrazia”. Adegui le parole, oggi; l’impegno non cambia».

Dunque non sono tutti uguali, no? C’è chi si pone il problema, se non altro.
«Io, e come me altri, avverto la necessità di rispondere a una chiamata alla mobilitazione in difesa della democrazia in Italia. Bisogna cominciare a rivivere la Costituzione per quello che è, una Costituzione che spinge parola per parola alla mobilitazione. Una Costituzione che difende i diritti, quei diritti che ora vengono negati da chi comanda. Il diritto al lavoro, prima di tutto. Contro chi sostiene che il lavoro non è mica un diritto, c’è la Costituzione che dice ‘certo che è un diritto, è un diritto eccome’; anzi, vi si fonda la Repubblica. Ricominciamo da qua: per affrontare la disoccupazione e il problema del lavoro, bisogna almeno partire da un dato, che il lavoro è un diritto sacrosanto. E che chi lavora non deve essere per questo condannato a morte come a Taranto. Le pare?»
 

 

 

L'intervista è tratta da www.primo numero.it

 http://www.primonumero.it/attualita/primopiano/articolo.php?id=12378

Ultimo aggiornamento Lunedì 31 Dicembre 2012 16:55
 
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