=LA GRANDE BELLEZZA?= Stampa
Scritto da Redazione   
Sabato 19 Aprile 2014 11:13

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Finché continua

l’umana avventura,

ci sarà scienza, arte, religione

e l’apocalisse del pensiero

lasciamola ai meno dotati.

di  Pippo De Liso

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 Il film La grande bellezza di Paolo Sorrentino, vincitore del premio Oscar 2014, dopo 15 anni di digiuno dell’Italia, e trasmesso in prima TV su Canale 5 il 4 marzo scorso, ha suscitato echi a non finire e non sono poche le iniziative e le manifestazioni a Roma che, sulla scia dell’evento mediatico, in grado di ingolosire il solito commercio culturale multilivello, hanno mietuto profitto e prestigio. La verità è che il film presenta due connotazioni negative che non possono essere a lungo ignorate e investono il lavoro cinematografico del regista, ispiratosi a Fellini e Scorsese, di un cono d’ombra.

Intanto, in un momento in cui il patrimonio storico-artistico-paesaggistico dell’Italia cade a pezzi (e ci sono turisti, impuniti, che si portano via come souvenir pezzi degli scavila-fontana-dell-acqua-paola-gianicolo di Pompei, per dirne una), la pellicola di Sorrentino, pur non paludata di ridondanti messaggi istituzionali, è la meno adatta a presentarsi come ambasciatrice dell’Italia nel mondo e fa percepire un’immagine distorta del nostro Paese. Insperato e circostanziale quindi, l’omaggio tributatole.

Il richiamo a Fellini è inoltre troppo lontano per valere come attenuante. Fra l’altro, il grande regista riminese sapeva alternare la visionarietà onirica all’autobiografismo; uno dei suoi film più grandi, “La dolce vita”, nelle parole dello stesso Fellini, “è un fenomeno che è andato al di là del film stesso”, divenendo un modo comune di dire per designare un certo atteggiamento edonistico nei confronti della vita. L’attore protagonista, l’indimenticato Marcello Mastroianni, giornalista di cronaca rosa, non ha nulla a che spartire col giornalista mondano Gambardella, personaggio vuoto di un mondo vuoto che veste giacche sgargianti per nascondere la sua nullità, elemento di una realtà ampiamente parodizzata che nasce già come parodìa di sé stessa.

palazzo-braschiNon ci si vuole ergere ad anacronistici fustigatori di costume (come lo erano ieri quelli che vedevano La dolce vita, una sintesi della vittoria della dissoluzione sulla Grazia); si vuole solo dire che il modo contemporaneo di vivere della ‘grande bellezza’ non sta in piedi, non sottende alcun disagio esistenziale.

In secondo luogo, il percorso di vita del personaggio protagonista, nel film, Jep Gambardella, alias l’attore Tony Servillo, tutto teso a dimostrare l’impossibilità di raccontare ed esprimere alcunché di artisticamente rilevante, non trova concordi gli addetti ai lavori (dice l’attore, del personaggio interpretato: “la sua inerzia emotiva, la sua attrazione per l’errore, lo spingono a reiterare gli sbagli”). Inoltre, è quasi offensivo nei confronti dell’arte che, da sempre, indica nuove vie per cercare di spiegare il mistero della vita su questa terra, mettendolo in relazione con tutto il cammino storico intrapreso fino ad ora. Finché continua l’umana avventura in questa valle, ci sarà scienza, arte, religione e l’apocalisse del pensiero lasciamola ai meno dotati. Non ci riguarda.

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Ultimo aggiornamento Sabato 19 Aprile 2014 11:47
 
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